[Pagina precedente]...o e ben fatto, e quasi delle migliori cose che dipignesse mai. Un'altra facciata dipinse alla porta di San Mammolo, et a San Salvadore un fregio intorno alla capella maggiore, tanto stravagante e pieno di pazzie, che farebbe ridere chi ha più voglia di piagnere. Insomma non è chiesa, né strada in Bologna, che non abbia qualche imbratto di mano di costui. In Roma ancora dipinse assai; et a Lucca in San Friano una capella con strane e bizzarre fantasie, e con alcune cose degne di lode come sono le storie della Croce et alcune di Santo Agostino, nelle quali sono infiniti ritratti di persone segnalate in quella città . E per vero dire questa fu delle migliori opere, che maestro Amico facesse mai a fresco, di colori. Et anco in San Iacopo di Bologna, all'altare di San Nicola, alcune storie di quel Santo, et un fregio da basso con prospettive, che meritan di esser lodate. Quando Carlo Quinto imperador andò a Bologna, fece Amico alla porta del palazzo un arco trionfale, nel quale fece Alfonso Lombardi le statue di rilievo. Né è maraviglia che quella d'Amico fusse più pratica che altro, perché si dice che, come persona astratta che egli era e fuor di squadra dall'altre, andò per tutta Italia disegnando e ritraendo ogni cosa di pittura e di rilievo, e così le buone come le cattive; il che fu cagione, che egli diventò un praticaccio inventore. E quando poteva aver cose da servirsene vi metteva su volentieri le mani; e poi, perché altri non se ne servissi, le guastava. Le quali fatiche furono cagione, che egli fece quella maniera così pazza e strana. Costui venuto finalmente in vecchiezza di settanta anni, fra per l'arte e la stranezza della vita, bestialissimamente impazzò; onde Messer Francesco Guicciardino, nobilissimo fiorentino e veracissimo scrittore delle storie de' tempi suoi, il quale era allora governatore di Bologna, ne pigliava non piccolo piacere insieme con tutta la città . Nondimeno credono alcuni, che questa sua pazzia fusse mescolata di tristizia, perché avendo venduto per piccol prezzo alcuni beni mentre era pazzo et in estremo bisogno, gli rivolle, essendo tornato in cervello, e gli riebbe con certe condizioni, per avergli venduto, diceva egli, "quando ero pazzo"; tuttavia, perché può anco essere altrimenti, non affermo che fusse così, ma ben dico che così ho molte volte udito raccontare. Attese costui anco alla scultura, e come seppe il meglio fece di marmo in San Petronio, entrando in chiesa a man ritta, un Cristo morto e Nicodemo, che lo tiene, della maniera che sono le sue pitture. Dipigneva Amico con amendue le mani a un tratto, tenendo in una il pennello del chiaro e nell'altra quello dello scuro; ma quello che era più bello e da ridere si è che, stando cinto, aveva intorno intorno piena la coreggia di pignatti pieni di colori temperati, di modo che pareva il diavolo di San Macario con quelle sue tante ampolle. E quando lavorava con gl'occhiali al naso arebbe fatto ridere i sassi, e massimamente se si metteva a cicalare, perché chiacchierando per venti, e dicendo le più strane cose del mondo, era uno spasso il fatto suo. Vero è che non usò mai di dir bene di persona alcuna, per virtuosa o buona ch'ella fusse, o per bontà che vedesse in lei di natura o di fortuna. E come si è detto fu tanto vago di gracchiare e dir novelle, che avendo una sera un pittor bolognese in sull'Ave Maria compero cavoli in piazza, si scontrò in Amico, il quale con sue novelle, non si potendo il povero uomo spiccare da lui, lo tenne sotto la loggia del podestà a ragionamento con sì fatte piacevoli novelle tanto che, condottisi fin presso a giorno, disse Amico all'altro pittore: "Or va, cuoci il cavolo, che l'ora passa".
Fece altre infinite burle e pazzie, delle quali non farò menzione, per essere oggimai tempo che si dica alcuna cosa di Girolamo da Cotignuola, il quale fece in Bologna molti quadri e ritratti di naturale, ma fra gl'altri, due che sono molto belli, in casa de' Vinacci. Ritrasse dal morto monsignor de Fois, che morì nella rotta di Ravenna, e non molto dopo fece il ritratto di Massimiliano Sforza. Fece una tavola in San Giuseppe, che gli fu molto lodata; et a San Michele in Bosco la tavola a olio che è alla cappella di San Benedetto, la quale fu cagione che con Biagio Bolognese egli facesse tutte le storie che sono intorno alla chiesa, a fresco imposte et a secco lavorate; nelle quali si vede pratica assai, come nel ragionare della maniera di Biagio si è detto. Dipinse il medesimo Girolamo in Santa Colomba di Rimini, a concorrenza di Benedetto da Ferrara e di Lattanzio, un'ancona, nella quale fece una Santa Lucia più tosto lasciva, che bella; e nella tribuna maggiore una coronazione di Nostra Donna con i dodici Apostoli e quattro Evangelisti, con teste tanto grosse e contrafatte, che è una vergogna vederle. Tornato poi a Bologna, non vi dimorò molto che andò a Roma, dove ritrasse di naturale molti signori, e particolarmente papa Paulo Terzo. Ma vedendo che quel paese non faceva per lui, e che male poteva acquistare onore, utile, o nome fra tanti pittori nobilissimi, se n'andò a Napoli, dove trovati alcuni amici suoi che lo favorirono, e particolarmente Messer Tommaso Cambi mercatante fiorentino, delle antiquità de' marmi antichi e delle pitture molto amatore, fu da lui accomodato di tutto quello che ebbe di bisogno. Perché messosi a lavorare, fece in Monte Oliveto la tavola de' Magi a olio, nella capella di un Messer Antonello vescovo di non so che luogo; et in Santo Aniello in un'altra tavola a olio la Nostra Donna, San Paulo e San Giovambatista; et a molti signori, ritratti di naturale. E perché vivendo con miseria, cercava di avanzare, essendo già bene in là con gl'anni, dopo non molto tempo, non avendo quasi più che fare in Napoli, se ne tornò a Roma. Per che avendo alcuni amici suoi inteso che aveva avanzato qualche scudo, gli persuasero che per governo della propria vita, dovesse tor moglie. E così egli, che si credette far bene, tanto si lasciò aggirare, che dai detti, per commodità loro, gli fu messa a canto per moglie una puttana che essi si tenevano. Onde sposata che l'ebbe, e giaciuto che si fu con esso lei, si scoperse la cosa con tanto dolore di quel povero vecchio, che egli in poche settimane se ne morì d'età d'anni 69.
Per dir ora alcuna cosa di Innocenzio da Immola, stette costui molti anni in Fiorenza con Mariotto Albertinelli, e dopo, ritornato a Immola, fece in quella terra molte opere. Ma persuaso finalmente dal conte Giovambattista Bentivogli, andò a stare a Bologna; dove fra le prime opere contrafece un quadro di Raffaello da Urbino già stato fatto al signor Lionello da Carpi. Et ai monaci di San Michele in Bosco lavorò nel capitolo a fresco la morte di Nostra Donna e la Ressurrezzione di Cristo, la quale opera certo fu condotta con grandissima diligenza e pulitezza. Fece anco nella chiesa del medesimo luogo la tavola dell'altar maggiore, la parte disopra della quale è lavorata con buona maniera. Ne' Servi di Bologna fece in tavola una Nunziata, et in San Salvadore un Crucifisso e molti quadri et altre pitture per tutta la città . Alla Viola fece per lo cardinale Ivrea tre logge in fresco, cioè in ciascuna due storie colorite con disegni d'altri pittori, ma fatte con diligenza. In San Iacopo fece una capella in fresco et una tavola a olio per madonna Benozza, che non fu se non ragionevole. Ritrasse anco oltre molti altri Francesco Alidosio cardinale, che l'ho veduto io in Imola insieme col ritratto del cardinale Bernardino Carniale, che ammendue sono assai begli. Fu Innocenzio persona assai modesta e buona, onde fuggì sempre la pratica e conversazione di que' pittori bolognesi, che erano di contraria natura. E perché si affaticava più di quello che potevano le forze sue, amalandosi di anni cinquantasei di febre pestilenziale, ella lo trovò sì debole et affaticato, che in pochi giorni l'uccise. Per che essendo rimaso imperfetto, anzi quasi non ben ben cominciato, un lavoro che avea preso a fare fuor di Bologna, lo condusse a ottima fine, secondo che Innocenzio ordinò avanti la sua morte, Prospero Fontana pittore bolognese. Furono l'opere di tutti i sopradetti pittori dal MDVI infino al MDXLII. E di mano di tutti sono disegni nel nostro libro.
VITA DEL FRANCIA BIGIO PITTOR FIORENTINO
Le fatiche che si patiscono nella vita per levarsi da terra e ripararsi da la povertà , soccorrendo non pure sé ma i prossimi suoi, fanno che il sudor e disagi diventano dolcissimi, et il nutrimento di ciò talmente pasce l'animo altrui, che la bontà del cielo, veggendo alcun volto a buona vita et ottimi costumi e pronto et inclinato agli studi delle scienze, è sforzato sopra l'usanza sua essergli nel genio favorevole e benigno. Come fu veramente al Francia pittor fiorentino; il quale da ottima e giusta cagione posto all'arte della pittura, s'esercitò in quella, non tanto desideroso di fama, quanto per porgere aiuto ai poveri parenti suoi. Et essendo egli nato di umilissimi artefici e persone basse, cercava svilupparsi da questo, al che fare lo spronò molto la concorrenza di Andrea del Sarto allora suo compagno, co 'l quale molto tempo tenne e bottega e la vita del dipignere. La qual vita fu cagione ch'eglino grande acquisto fecero l'un per l'altro all'arte della pittura.
Imparò il Francia nella sua giovanezza, dimorando alcuni mesi con Mariotto Albertinelli, i principii dell'arte. Et essendo molto inclinato alle cose di prospettiva e quella imparando di continuo per lo diletto di essa, fu in Fiorenza riputato molto valente nella sua giovanezza. Le prime opere da lui dipinte furono in San Brancazio, chiesa dirimpetto alle case sue, cioè un San Bernardo lavorato in fresco, e nella cappella de' Rucellai in un pilastro una Santa Caterina da Siena lavorata similmente in fresco: le quali diedero saggio delle sue buone qualità , che in tale arte mostrò per le sue fatiche. Ma molto più lo fé tenere valente un quadro di Nostra Donna con il Putto in collo ch'è a una capellina in San Piero Maggiore, dove un San Giovanni fanciullo fa festa a Gesù Cristo. Si dimostrò anco eccellente a San Giobbe dietro a' Servi in Fiorenza in un cantone della chiesa di detto Santo, in un tabernacolo lavorato a fresco, nel quale fece la visitazione della Madonna. Nella quale figura si scorge la benignità della Madonna, e nella vecchia una reverenza grandissima; e dipinse il San Giobbe povero e lebbroso, et il medesimo ricco e sano. La quale opera diè tal saggio di lui, che pervenne in credito et in fama. Laonde gli uomini, che di quella chiesa e Compagnia erano capitani, gli allogarono la tavola dello altar maggiore, nella quale il Francia si portò molto meglio; et in tale opera, in un San Giovanni Batista si ritrasse nel viso; e fece in quella una Nostra Donna e San Giobbe povero.
Edificossi allora in Santo Spirito di Fiorenza, la cappella di San Niccola, nella quale di legno col modello di Iacopo Sansovino fu intagliato esso Santo tutto tondo, et il Francia due Agnoletti, che in mezzo lo mettono, dipinse a olio in duo quadri che furono lodati, et in due tondi fece una Nunziata; e lavorò la predella di figure piccole dei miracoli di San Niccola con tanta diligenza, che merita perciò molte lodi. Fece in San Pier Maggiore alla porta a man destra entrando in chiesa, una Nunziata, dove ha fatto l'Angelo che ancora vola per aria, et essa che ginocchioni, con una graziosissima attitudine, riceve il saluto. E vi ha tirato un casamento in prospettiva, il quale fu cosa molto lodata et ingegnosa. E nel vero ancor che 'l Francia avesse la maniera un poco gentile, per essere egli molto faticoso e duro nel suo operare, nientedimeno egli era molto riservato e diligente nelle misure dell'arte nelle figure. Gli fu allogato a dipignere nei Servi, per concorrenza d'Andrea del Sarto, nel cortile dinanzi alla chiesa, una storia: nella quale fece lo sposalizio di Nostra Donna, dove apertamente si conosce la grandissima fede che aveva Giuseppo, il quale sposandola non meno mostra nel viso il timore che l'allegrezza. Oltra ...
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