[Pagina precedente]...capella de' Fontani, in Santa Maria in Organi, dipinse, pure a fresco, due Angioli nel di fuori di detta capella, cioè San Michele e San Raffaello. In Santa Eufemia, nella strada dove risponde la capella dell'Angelo Raffaello, sopra una finestra che dà lume a un ripostiglio della scala di detto Angelo, dipinse quello, et insieme con esso Tobia, guidato da lui nel viaggio, che fu bellissima operina. A San Bernardino fece, sopra la porta del Campanello, un San Bernardino a fresco in un tondo, e nel medesimo muro più a basso, sopra l'uscio d'un confessionario, pur in un tondo, un San Francesco che è bello e ben fatto, sì come è anco il S. Bernardino. E questo è quanto ai lavori che si sa Paulo aver fatto in fresco.
A olio poi nella chiesa della Madonna della Scala, all'altare della Santificazione, dipinse in un quadro un San Rocco a concorrenza del San Bastiano che, all'incontro, dipinse nel medesimo luogo il Moro; il quale San Rocco è una bellissima figura. Ma in San Bernardino è il meglio delle figure che facesse mai questo pittore, perciò che tutti i quadri grandi, che sono all'altare della croce, intorno all'ancona principale, sono di sua mano, eccetto quello dove è il Crocifisso, la Madonna e San Giovanni, che è sopra tutti gl'altri, il quale è di mano di Francesco suo maestro. A lato a questo fece Paulo due quadri grandi nella parte di sopra: in uno de' quali è Cristo alla colonna battuto e, nell'altro, la sua Coronazione dipinse con molte figure alquanto maggiori che il naturale. Più a basso nel primo ordine, cioè nel quadro principale, fece Cristo deposto di croce, la Madonna, la Maddalena, San Giovanni, Nicodemo e Giuseppo, et in uno di questi ritrasse se stesso tanto bene che par vivissimo, in una figura che è vicina al legno della croce, giovane, con barba rossa e con uno scuffiotto in capo, come allora si costumava di portare. Dal lato destro fece il Signore nell'orto con i tre Discepoli appresso, e dal sinistro dipinse il Medesimo con la croce in spalla, condotto al monte Calvario. La bontà delle quali opere, che fanno troppo paragone a quelle che nel medesimo luogo sono di mano del suo maestro, daranno sempre luogo a Paulo fra i migliori artefici. Nel basamento fece alcuni Santi dal petto in su, che sono tutti ritratti di naturale. La prima figura con l'abito di San Francesco, fatta per un beato, è il ritratto di fra' Girolamo Reccalchi, nobile veronese. La figura, che è a canto a questa, fatta per San Bonaventura, è il ritratto di fra' Bonaventura Riccalchi, fratello del detto fra' Girolamo. La testa del San Giuseppo è il ritratto d'un agente de' marchesi Malespini, che allora aveva carico dalla Compagnia della Croce di far fare quell'opera, e tutte sono bellissime teste. Nella medesima chiesa fece Paulo la tavola della capella di San Francesco, nella quale, che fu l'ultima che facesse, superò se medesimo. Sono in questa sei figure maggiori che il naturale. Santa Lisabetta del terzo Ordine di San Francesco, che è bellissima figura, con aria ridente e volto grazioso, e con il grembo pieno di rose, e pare che gioisca veggendo, per miracolo di Dio, che il pane che ella stessa, gran signora, portava ai poveri, fusse convertito in rose: in segno che molto era accetta a Dio quella sua umile carità di ministrare ai poveri con le proprie mani. In questa figura è il ritratto d'una gentildonna vedova della famiglia de' Sacchi. L'altre figure sono San Bonaventura cardinale e San Lodovico vescovo, e l'uno e l'altro frate di San Francesco. Appresso a questi è San Lodovico re di Francia, Santo Eleazaro in abito bigio, e Santo Ivone in abito sacerdotale. La Madonna poi, che è di sopra in una nuvola con San Francesco et altre figure d'intorno, dicono non esser di mano di Paulo, ma d'un suo amico che gl'aiutò lavorare questa tavola; e ben si vede che le dette figure non sono di quella bontà che sono quelle da basso. Et in questa tavola è ritratta di naturale madonna Caterina de' Sacchi, che fece fare quest'opera.
Paulo dunque, essendosi messo in animo di farsi grande e famoso, e perciò facendo fatiche intolerabili, infermò e si morì giovane di 31 anno, quando a punto cominciava a dar saggio di quello che si sperava da lui nell'età migliore. E certo, se la fortuna non si attraversava al virtuoso operare di Paulo, sarebbe senza dubbio arivato a quegl'onori supremi che migliori e maggiori si possono nella pittura disiderare. Per che dolse la perdita di lui non pure agl'amici, ma a tutti i virtuosi e chiunche lo conobbe, e tanto più essendo stato giovane d'ottimi costumi e senza macchia d'alcun vizio. Fu sepolto in San Polo, rimanendo imortale nelle bellissime opere che lasciò.
VITA DI FALCONETTO, ARCHITETTO VERONESE
Stefano Veronese, pittore rarissimo de' suoi tempi, come si è detto, ebbe un fratello carnale chiamato Giovan Antonio il quale se bene imparò a dipignere dal detto Stefano, non però riuscì se non meno che mezzano dipintore, come si vede nelle sue opere, delle quali non accade far menzione. Di costui nacque un figliuolo che similmente fu dipintore di cose dozzinali, chiamato Iacopo, e di Iacopo nacquero Giovanmaria detto Falconetto, del quale scriviamo la vita, e Giovan Antonio. Questo ultimo attendendo alla pittura, dipinse molte cose in Roveretto, castello molto onorato nel Trentino, e molti quadri in Verona che sono per le case de' privati. Similmente dipinse nella valle dell'Adice sopra Verona molte cose, et in Sacco, riscontro a Roveretto, in una tavola San Niccolò con molti animali, e molte altre, dopo le quali finalmente si morì a Roveretto dove era andato ad abitare. Costui fece sopra tutto begli animali e frutti, de' quali molte carte miniate, e molto belle, furono portate in Francia dal Mondella veronese, e molte ne furono date da Agnolo suo figliuolo a Messer Girolamo Lioni in Vinezia, gentiluomo di bellissimo spirito.
Ma venendo oggimai a Giovanmaria, fratello di costui, egli imparò i principii della pittura dal padre e gli aggrandì e migliorò assai, ancor che non fusse anch'egli pittore di molta reputazione, come si vede nel Duomo di Verona, alle capelle de' Maffei e degl'Emili; et in San Nazzaro, nella parte superiore della cupola et in altri luoghi. Avendo dunque conosciuta costui la poca perfezzione del suo lavorare nella pittura, e dilettandosi sopra modo dell'architettura, si diede a osservare e ritrarre con molta diligenza tutte l'antichità di Verona sua patria. Risoltosi poi di voler vedere Roma, e da quelle maravigliose reliquie, che sono il vero maestro, imparare l'architettura, là se n'andò, e vi stette dodici anni interi: il qual tempo spese, per la maggior parte, in vedere e disegnare tutte quelle mirabili antichità , cavando in ogni luogo tanto che potesse vedere le piante e ritrovare tutte le misure. Né lasciò cosa in Roma, o di fabrica o di membra, come sono cornici, colonne e capitegli di qual si voglia ordine, che tutto non disegnasse di sua mano con tutte le misure. Ritrasse anco tutte le sculture che furono scoperte in que' tempi. Di maniera che dopo detti dodici anni, ritornò alla patria richissimo di tutti i tesori di quest'arte. E non contento delle cose della città propria di Roma, ritrasse quanto era di bello e buono in tutta la campagna di Roma infino nel regno di Napoli, nel ducato di Spoleto et in altri luoghi. E perché essendo povero non aveva Giovanmaria molto il modo da vivere, né da trattenersi in Roma, dicono che due o tre giorni della settimana aiutava a qualcuno lavorare di pittura; e di quel guadagno, essendo allora i maestri ben pagati, e buon vivere, vivea gl'altri giorni della settimana, attendendo ai suoi studii d'architettura. Ritrasse dunque tutte le dette anticaglie come fussero intere, e le rappresentò in disegno, dalle parti e dalle membra, cavando la verità e l'integrità di tutto il resto del corpo di quelli edifizii con sì fatte misure e proporzioni che non potette errare in parte alcuna.
Ritornato dunque Giovanmaria a Verona e non avendo occasione di esercitare l'architettura, essendo la patria in travaglio per mutazione di stato, attese per allora alla pittura e fece molte opere. Sopra la casa di que' della Torre lavorò un'arme grande con certi trofei sopra, e per certi signori tedeschi, consiglieri di Massimiliano imperatore, lavorò a fresco in una facciata della chiesa piccola di San Giorgio alcune cose della Scrittura, e vi ritrasse que' due signori tedeschi grandi quanto il naturale, uno da una, l'altro dall'altra parte ginocchioni. Lavorò a Mantoa al signor Luigi Gonzaga cose assai, et a Osmo nella marca d'Ancona alcun'altre. E mentre che la città di Verona fu dell'imperatore, dipinse sopra tutti gl'edifizii publici l'armi imperiali et ebbe perciò buona provisione et un privilegio dall'imperatore, nel quale si vede che gli concesse molte grazie et essenzioni, sì per lo suo ben servire nelle cose dell'arte e sì perché era uomo di molto cuore, terribile e bravo con l'arme in mano; nel che poteva anco aspettarsi da lui valorosa e fedel servitù, e massimamente tirandosi dietro, per lo gran credito che aveva appresso i vicini, il concorso di tutto il popolo che abitava il borgo di San Zeno, che è parte della città molto popolosa e nella quale era nato e vi aveva preso moglie, nella famiglia de' Provali. Per queste cagioni adunque, avendo il seguito di tutti quelli della sua contrada, non era per altro nome nella città chiamato che il Rosso di S. Zeno.
Per che, mutato lo stato della città e ritornata sotto gl'antichi suoi signori viniziani, Giovanmaria, come colui che avea seguito la parte imperiale, fu forzato, per sicurtà della vita, partirsi. E così andato a Trento, vi si trattenne, dipignendo alcune cose, certo tempo. Ma finalmente, rassettate le cose, se n'andò a Padoa, dove fu prima conosciuto e poi molto favorito da monsignor reverendissimo Bembo, che poco appresso lo fece conoscere al magnifico Messer Luigi Cornaro, gentiluomo viniziano d'alto spirito e d'animo veramente regio, come ne dimostrano tante sue onoratissime imprese. Questi dunque dilettandosi, oltre all'altre sue nobilissime parti, delle cose d'architettura, la cognizione della quale è degna di qualunche gran principe, et avendo perciò vedute le cose di Vetruvio, di Leonbattista Alberti e d'altri che hanno scritto in questa professione, e volendo mettere le cose che aveva imparato in pratica, veduti i disegni di Falconetto e con quanto fondamento parlava di queste cose, e chiariva tutte le difficultà che possono nascere nella varietà degli ordini dell'architettura, s'inamorò di lui per sì fatta maniera che, tiratoselo in casa, ve lo tenne onoratamente ventun anno, ché tanto fu il rimanente della vita di Giovanmaria, il quale in detto tempo operò molte cose con detto Messer Luigi, il quale, desideroso di vedere l'anticaglie di Roma in fatto, come l'aveva vedute nei disegni di Giovanmaria, menandolo seco se n'andò a Roma, dove avendo costui sempre in sua compagnia, volle vedere minutamente ogni cosa.
Dopo tornati a Padoa, si mise mano a fare col disegno e modello di Falconetto la bellissima et ornatissima loggia che è in casa Cornara, vicina al Santo, per far poi il palazzo secondo il modello fatto da Messer Luigi stesso. Nella qual loggia è sculpito il nome di Giovanmaria in un pilastro. Fece il medesimo una porta dorica molto grande e magnifica al palazzo del capitano di detta terra, la qual porta, per opera schietta, è molto lodata da ognuno. Fece anco due bellissime porte della città , l'una detta di San Giovanni, che va verso Vicenza, la quale è bella e commoda per i soldati che la guardano, e l'altra fu porta Savonarola, che fu molto bene intesa. Fece anco il disegno e modello della chiesa di Santa Maria delle Grazie de' frati di San Domenico e la fondò; la quale opera, come si vede dal modello, è tanto ben fatta e bella, che di tanta grandezza non si è forse veduto infino a ora una pari in altro luogo. Fu fatto dal medesimo il modello d'un superbissimo palazzo al signor Girolamo Savorgnano nel fortissimo suo castello d'Usopo nel Fri...
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