[Pagina precedente]...la porta a tutti e non si lasciando vedere, che tutti se ne tornarono a Fiorenza; dove dipinse il Granacci a Pierfrancesco Borgherini, nella sua casa di borgo Santo Apostolo in Fiorenza, in una camera dove Iacopo da Puntormo, Andrea del Sarto e Francesco Ubertini avevano fatto molte storie della vita di Ioseffo, sopra un lettuccio, una storia a olio de' fatti del medesimo in figure piccole, fatte con pulitissima diligenza e con vago e bel colorito; et una prospettiva, dove fece Giuseppo che serve Faraone, che non può essere più bella in tutte le parti. Fece ancora al medesimo, pure a olio, una Trinità in un tondo, cioè un Dio Padre che sostiene un Crucifisso. E nella chiesa di San Pier Maggiore è in una tavola di sua mano un'Assunta con molti Angeli e con un San Tommaso al quale ella dà la cintola, figura molto graziosa e ch'è svolta tanto bene, che pare di mano di Michelagnolo; e così fatta è anco la Nostra Donna. Il disegno delle quali due figure di mano del Granacci, è nel nostro libro con altri fatti similmente da lui. Sono dalle bande di questa tavola S. Paulo, San Lorenzo, S. Iacopo e S. Giovanni, che sono tutte così belle figure, che questa è tenuta la migliore opera che Francesco facesse mai. E nel vero questa sola, quando non avesse mai fatto altro, lo farà tenere sempre, come fu, eccellente dipintore.
Fece ancora nella chiesa di San Gallo, luogo già fuor della detta porta, de' frati Eremitani di Santo Agostino, in una tavola la Nostra Donna e due putti, San Zanobi vescovo di Fiorenza, e San Francesco; la quale tavola, che era alla capella de' Girolami, della quale famiglia fu detto San Zanobi, è oggi in San Iacopo tra' Fossi in Firenze.
Avendo Michelagnolo Buonarruoti una sua nipote monaca in Santa Apollonia di Firenze, et avendo per ciò fatto l'ornamento et il disegno della tavola e dell'altar maggiore, vi dipinse il Granaccio alcune storie di figurette piccole a olio et alcune grandi, che allora sodisfecero molto alle monache et ai pittori ancora. Nel medesimo luogo dipinse da basso un'altra tavola, che per inavertenza di certi lumi lasciati all'altare abruciò una notte con alcuni parametri di molto valore; che certo fu gran danno, perciò che era quell'opera molto dagl'artefici lodata.
Alle monache di S. Giorgio in sulla Costa fece nella tavola dell'altar maggiore la Nostra Donna, Santa Caterina, San Giovanni Gualberto, San Bernardo Uberti cardinale e San Fedele. Lavorò similmente il Granacci molti quadri e tondi sparsi per la città nelle case de' gentiluomini; e fece molti cartoni per far finestre di vetro, che furono poi messi in opera dai frati degl'Ingesuati di Fiorenza. Dilettossi molto di dipignere drappi, e solo et in compagnia: onde, oltre le cose dette di sopra, fece molti drappelloni. E perché faceva l'arte più per passar tempo che per bisogno, lavorava agiatamente, e voleva tutte le sue commodità, fuggendo a suo potere i disagi più che altr'uomo. Ma nondimeno conservò sempre il suo, senza esser cupido di quel d'altri. E perché si diede pochi pensieri, fu piacevole uomo et attese a godere allegramente. Visse anni sessantasette; alla fine de' quali, di malatia ordinaria e di febre finì il corso della sua vita; e nella chiesa di Santo Ambruogio di Firenze ebbe sepoltura nel giorno di Santo Andrea Apostolo, nel MDXLIIII.
VITA DI BACCIO D'AGNOLO ARCHITETTORE FIORENTINO
Sommo piacere mi piglio alcuna volta nel vedere i principii degl'artefici nostri, per veder salire molto tallora di basso in alto, e specialmente nell'architettura; la scienza della quale non è stata esercitata da parecchi anni a dietro se non da intagliatori o da persone soffistiche, che facevano professione sanza saperne pure i termini et i primi principii d'intendere la prospettiva. E pur è vero che non si può esercitare l'architettura perfettamente se non da coloro che hanno ottimo giudizio e buon disegno, o che in pitture, sculture o cose di legname abbiano grandemente operato. Conciò sia che in essa si misurano i corpi delle figure loro, che sono le colonne, le cornici, i basamenti e tutti l'ordin di quella; i quali a ornamento delle figure son fatti, e non per altra cagione. E per questo i legnaiuoli, di continuo maneggiandogli, diventano in ispazio di tempo architetti; e gli scultori similmente, per lo situare le statue loro, e per fare ornamenti a sepolture et altre cose tonde, col tempo l'intendono; et il pittore, per le prospettive e per la varietà dell'invenzioni, e per i casamenti da esso tirati, non può fare che le piante degl'edificii non faccia; attesoché non si pongono case né scale ne' piani dove le figure posano, che la prima cosa non si tiri l'ordine e l'architettura.
Lavorando dunque di rimessi Baccio nella sua giovanezza eccellentemente, fece le spalliere del coro di Santa Maria Novella nella capella maggiore, nella quale sono un San Giovanni Battista et un San Lorenzo bellissimi. D'intaglio lavorò l'ornamento della medesima capella e quello dell'altar maggiore della Nunziata, l'ornamento dell'organo di Santa Maria Novella et altre infinite cose, e publiche e private, nella sua patria Fiorenza. Della quale partendosi, andò a Roma, dove attese con molto studio alle cose d'architettura e, tornato, fece per la venuta di papa Leone Decimo, in diversi luoghi, archi trionfali di legname. Ma per tutto ciò non lasciando mai la bottega, vi dimoravano assai con esso lui, oltre a molti cittadini, i migliori e primi artefici dell'arte nostre; onde vi si facevano, massimamente la vernata, bellissimi discorsi e dispute d'importanza. Il primo di costoro era Raffaello da Urbino, allora giovane, e dopo Andrea Sansovino, Filippino, il Maiano, il Cronaca, Antonio e Giuliano Sangalli, il Granaccio, et alcuna volta, ma però di rado, Michelagnolo e molti giovani fiorentini e forestieri.
Avendo adunque per sì fatta maniera atteso Baccio all'architettura, et avendo fatto di sé alcuno esperimento, cominciò a essere a Firenze in tanto credito, che le più magnifiche fabriche che al suo tempo si facessero, furono allogate a lui et egli fattone capo. Essendo gonfaloniere Piero Soderini, Baccio insieme col Cronaca et altri, come si è detto di sopra, si trovò alle deliberazzioni che si fecero della sala grande di palazzo; e di sua mano lavorò di legname l'ornamento della tavola grande, che abbozzò fra' Bartolomeo, disegnato da Filippino. In compagnia de' medesimi fece la scala che va in detta sala, con ornamento di pietra molto bello; e di mischio le colonne e porte di marmo della sala, che oggi si chiama de' Dugento. Fece in sulla piazza di Santa Trinita un palazzo a Giovanni Bartolini, il quale è dentro molto adornato, e molti disegni per lo giardino del medesimo in Gualfonda. E perché fu il primo edifizio, quel palazzo, che fusse fatto con ornamento di finestre quadre, con frontispizii e con porta le cui colonne reggessino architrave, fregio e cornice, furono queste cose tanto biasimate dai fiorentini con parole, con sonetti e con appiccarvi filze di frasche, come si fa alle chiese per le feste, dicendosi che aveva più forma di facciata di tempio che di palazzo, che Baccio fu per uscir di cervello. Tuttavia, sapendo egli che aveva imitato il buono e che l'opera stava bene, se ne passò. Vero è che la cornice di tutto il palazzo riuscì, come si è detto in altro luogo, troppo grande, tuttavia l'opera è stata per altro sempre molto lodata.
A Lanfredino Lanfredini fece fabricare lungo Arno la casa loro, che è fra il ponte a Santa Trinita et il ponte alla Carraia, e su la piazza de' Mozzi cominciò, ma non finì, la casa de' Nasi, che risponde in sul renaio d'Arno. Fece ancora la casa de' Taddei, a Taddeo di quella famiglia, che fu tenuta commodissima e bella. Diede a Pierfrancesco Borgherini i disegni della casa che fece in borgo Santo Apostolo; et in quella con molta spesa fece far gl'ornamenti delle porte, camini bellissimi; e particolarmente fece per ornamento d'una camera cassoni di noce pieni di putti intagliati con somma diligenza. La quale opera sarebbe oggi impossibile a condurre a tanta perfezzione con quanta la condusse egli. Diedegli il disegno della villa che e' fece fare sul poggio di Bellosguardo, che fu di bellezza e di comodità grande e di spesa infinita. A Giovanmaria Benintendi fece un'anticamera et un recinto d'un ornamento, per alcune storie fatte da eccellenti maestri, che fu cosa rara. Fece il medesimo il modello della chiesa di S. Giuseppo da Santo Nofri, e fece fabricare la porta, che fu l'ultima opera sua. Fece condurre di fabrica il campanile di Santo Spirito in Fiorenza, che rimase imperfetto: oggi per ordine del duca Cosimo si finisce col medesimo disegno di Baccio. E similmente quello di San Miniato di Monte, dall'artiglieria del campo battuto, non però fu mai rovinato. Per lo che non minor fama s'acquistò per l'offesa che fece a' nemici, che per la bontà e bellezza con che Baccio l'aveva fatto lavorare e condurre.
Essendo poi Baccio, per la sua bontà e per essere molto amato dai cittadini, nell'Opera di Santa Maria del Fiore per architetto, diede il disegno di fare il ballatoio che cigne intorno la cupola; il quale Pippo Brunelleschi, sopragiunto dalla morte, aveva lasciato a dietro. E benché egli avesse anco di questo fatto il disegno, per la poca diligenza de' ministri dell'Opera, erano andati male e perduti. Baccio adunque, avendo fatto il disegno e modello di questo ballatoio, mise in opera tutta la banda che si vede verso il canto de' Bischeri. Ma Michelagnolo Buonarroti, nel suo ritorno da Roma, veggendo che nel farsi quest'opera si tagliavano le morse che aveva lasciato fuori non senza proposito Filippo Brunelleschi, fece tanto rumore che si restò di lavorare, dicendo esso che gli pareva che Baccio avesse fatto una gabbia da grilli, e che quella machina sì grande richiedeva maggior cosa e fatta con altro disegno, arte e grazia che non gli pareva che avesse il disegno di Baccio, e che mostrarebbe egli come s'aveva da fare. Avendo dunque fatto Michelagnolo un modello, fu la cosa lungamente disputata fra molti artefici e cittadini intendenti davanti al cardinale Giulio de' Medici. E finalmente non fu, né l'un modello, né l'altro messo in opera. Fu biasimato il disegno di Baccio in molte parti, non che di misura in quel grado non stesse bene, ma perché troppo diminuiva a comparazzione di tanta machina. E per queste cagioni non ha mai avuto questo ballatoio il suo fine.
Attese poi Baccio a fare i pavimenti di Santa Maria del Fiore, et altre sue fabriche, che non erano poche, tenendo egli cura particolare di tutti i principali monasterii e conventi di Firenze, e di molte case di cittadini dentro e fuori della città.
Finalmente vicino a 83 anni, essendo anco di saldo e buon giudizzio, andò a miglior vita nel 1543, lasciando Giuliano, Filippo e Domenico suoi figliuoli, dai quali fu fatto sepellire in San Lorenzo.
De' quali suoi figliuoli, che tutti dopo Baccio atteser all'arte dell'intaglio e falegname, Giuliano, che era il secondo, fu quegli che con maggiore studio, vivendo il padre, e dopo, attese all'architettura. Onde col favore del duca Cosimo succedette nel luogo del padre all'Opera di Santa Maria del Fiore, e seguitò non pure in quel tempio quello che il padre avea cominciato, ma tutte l'altre muraglie ancora, le quali per la morte di lui erano rimase imperfette. Et avendo in quel tempo Messer Baldassarre Turini da Pescia a collocare una tavola di mano di Raffaello da Urbino nella principale chiesa di Pescia, di cui era proposto, e farle un ornamento di pietra intorno, anzi una capella intera et una sepoltura, condusse il tutto con suoi disegni e modelli Giuliano, il quale rassettò al medesimo la sua casa di Pescia con molte belle et utili commodità. Fuor di Fiorenza a Montughi fece il medesimo a Messer Francesco Campana, già primo segretario del duca Alessandro e poi del duca Cosimo de' Medici, una casetta piccola a canto alla chiesa, ma ornatissima e tanto ben posta, che vagheggia, essendo alquanto rilevata, tutta la città di Firenze et il piano intorno. Et a...
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