[Pagina precedente]...nno molto disegno, se ne potessero ne' loro bisogni servire. Intagliò anco un nudo, che ha un lione a' piedi e vuole fermare una bandiera grande, gonfiata dal vento, che è contrario al volere del giovane; un altro che porta una basa addosso; et un San Ieronimo, piccolo, che considera la morte mettendo un dito nel cavo d'un teschio che ha in mano, il che fu invenzione e disegno di Raffaello; e dopo, una Iustizia, la quale ritrasse dai panni di capella; et appresso l'Aurora tirata da due cavalli, ai quali l'Ore mettono la briglia. E dall'antico ritrasse le tre Grazie, et una storia di Nostra Donna che saglie i gradi del tempio.
Dopo queste cose, Giulio Romano, il quale, vivente Raffaello suo maestro, non volle mai per modestia far alcuna delle sue cose stampare, per non parere di volere competere con esso lui, fece, dopo che egli fu morto, intagliare a Marcantonio due battaglie di cavalli bellissime in carte assai grandi, e tutte le storie di Venere, d'Apollo e di Iacinto, che egli avea fatto di pittura nella stufa che è alla vigna di Messer Baldassarre Turrini da Pescia. E parimente le quattro storie della Madalena, et i quattro Evangelisti, che sono nella volta della capella della Trinità , fatte per una meretrice, ancor che oggi sia di Messer Agnolo Massimi. Fu ritratto ancora, e messo in istampa dal medesimo, un bellissimo pilo antico, che fu di Maiano et è oggi nel cortile di San Pietro, nel quale è una caccia d'un Lione; e dopo una delle storie di marmo, antiche, che sono sotto l'arco di Gostantino, e finalmente molte storie, che Raffaello aveva disegnate per il corridore e logge di palazzo; le quali sono state poi rintagliate da Tommaso Barlacchi insieme con le storie de' panni, che Raffaello fece pel concistoro publico. Fece dopo queste cose Giulio Romano in venti fogli intagliare da Marcantonio, in quanti diversi modi, attitudini e positure giacciono i disonesti uomini con le donne, e, che fu peggio, a ciascun modo fece Messer Pietro Aretino un disonestissimo sonetto, in tanto che io non so qual fusse più, o brutto lo spettacolo dei disegni di Giulio all'occhio, o le parole dell'Aretino agl'orecchi; la quale opera fu da papa Clemente molto biasimata. E se quanto ella fu pubblicata Giulio non fusse già partito per Mantoa, ne sarebbe stato dallo sdegno del papa aspramente castigato. E poi che ne furono trovati di questi disegni in luoghi dove meno si sarebbe pensato, furono non solamente proibiti, ma preso Marcantonio e messo in prigione. E n'arebbe avuto il malanno, se il cardinale de' Medici e Baccio Bandinelli, che in Roma serviva il Papa, non l'avessono scampato. E nel vero non si doverebbono i doni di Dio adoperare, come molte volte si fa, in vituperio del mondo et in cose abominevoli del tutto.
Marcantonio, uscito di prigione, finì d'intagliare per esso Baccio Bandinelli una carta grande, che già aveva cominciata, tutta piena d'ignudi, che arostivano in sulla graticola San Lorenzo, la quale fu tenuta veramente bella e stata intagliata con incredibile diligenza, ancor che il Bandinello, dolendosi col Papa a torto di Marcantonio, dicesse, mentre Marcantonio l'intagliava, che gli faceva molti errori. Ma ne riportò il Bandinello di questa così fatta gratitudine quel merito, di che la sua poca cortesia era degna. Perciò che, avendo finita Marcantonio la carta, prima che Baccio lo sapesse, andò, essendo del tutto avisato, al Papa, che infinitamente si dilettava delle cose del disegno, e gli mostrò l'originale, stato disegnato dal Bandinello, e poi la carta stampata, onde il Papa conobbe che Marcantonio con molto giudizio avea non solo non fatto errori, ma correttone molti fatti dal Bandinello, e di non piccola importanza, e che più avea saputo et operato egli coll'intaglio, che Baccio col disegno. E così il Papa lo commendò molto, e lo vide poi sempre volentieri; e si crede gl'averebbe fatto del bene, ma succedendo il sacco di Roma, divenne Marcantonio poco meno che mendico, perché oltre al perdere ogni cosa, se volle uscire delle mani degli Spagnuoli gli bisognò sborsare una buona taglia; il che fatto, si partì di Roma, né vi tornò mai più. Là dove poche cose si veggiono fatte da lui da quel tempo in qua. È molto l'arte nostra obligata a Marcantonio, per avere egli in Italia dato principio alle stampe, con molto giovamento et utile dell'arte, e commodo di tutti i virtuosi; onde altri hanno poi fatte l'opere che di sotto si diranno.
Agostino Viniziano adunque, del quale si è di sopra ragionato, venne dopo le cose dette a Fiorenza, con animo d'accostarsi ad Andrea del Sarto, il quale dopo Raffaello era tenuto de' migliori dipintori d'Italia. E così da costui persuaso Andrea a mettere in istampa l'opere sue, disegnò un Cristo morto sostenuto da tre Angeli. Ma perché ad Andrea non riuscì la cosa, così a punto secondo la fantasia sua, non volle mai più mettere alcuna sua opera in istampa. Ma alcuni, dopo la morte sua, hanno mandato fuori la visitazione di Santa Elisabetta, e quando San Giovanni battezza alcuni popoli, tolti dalla storia di chiaro scuro che esso Andrea dipinse nello Scalzo di Firenze. Marco da Ravenna parimente, oltre le cose che si sono dette, le quali lavorò in compagnia d'Agostino, fece molte cose da per sé, che si conoscono al suo già detto segno, e sono tutte e buone e lodevoli.
Molti altri ancora sono stati dopo costoro che hanno benissimo lavorato d'intagli e fatto sì che ogni provincia ha potuto godere e vedere l'onorate fatiche degl'uomini eccellenti. Né è mancato a chi sia bastato l'animo di fare con le stampe di legno carte che paiono fatte col pennello a guisa di chiaro scuro, il che è stato cosa ingegnosa e difficile. E questi fu Ugo da Carpi, il quale, se bene fu mediocre pittore, fu nondimeno in altre fantasticherie d'acutissimo ingegno. Costui dico, come si è detto nelle teoriche al trentesimo capitolo, fu quegli che primo si provò, e gli riuscì felicemente, a fare con due stampe, una delle quali a uso di rame gli serviva a tratteggiare l'ombre, e con l'altra faceva la tinta del colore: per che, graffiata in dentro con l'intaglio, lasciava i lumi della carta in modo bianchi, che pareva, quando era stampata, lumeggiata di biacca. Condusse Ugo in questa maniera con un disegno di Raffaello, fatto di chiaro scuro, una carta nella quale è una Sibilla a sedere che legge et un fanciullo vestito che gli fa lume con una torcia. La qual cosa essendogli riuscita, prese animo, tentò Ugo di far carte con stampe di legno di tre tinte. La prima faceva l'ombra, l'altra, che era una tinta di colore più dolce, faceva un mezzo, e la terza, graffiata, faceva la tinta del campo più chiara et i lumi della carta bianchi; e gli riuscì in modo anco questa, che condusse una carta dove Enea porta addosso Anchise, mentre che arde Troia. Fece appresso un Deposto di croce e la storia di Simon Mago, che già fece Raffaello nei panni d'arazzo della già detta capella. E similmente Davitte che amazza Golia, e la fuga de' Filistei, di che avea fatto Raffaello il disegno per dipignerla nelle logge papali. E dopo molte altre cose di chiaro scuro, fece nel medesimo modo una Venere con molti amori che scherzano. E perché, come ho detto, fu costui dipintore, non tacerò che egli dipinse a olio senza adoperare pennello ma con le dita, e parte con suoi altri instrumenti capricciosi, una tavola che è in Roma all'altare del Volto Santo; la quale tavola, essendo io una mattina con Michelagnolo a udir messa al detto altare, e veggendo in essa scritto che l'aveva fatta Ugo da Carpi senza pennello, mostrai ridendo cotale inscrizione a Michelagnolo, il quale, ridendo anch'esso, rispose: "Sarebbe meglio che avesse adoperato il pennello e l'avesse fatta di miglior maniera".
Il modo adunque di fare le stampe in legno di due sorti, e fingere il chiaro scuro, trovato da Ugo, fu cagione che, seguitando molti le costui vestigie, si sono condotte da altri molte bellissime carte. Per che dopo lui Baldassarre Peruzzi, pittore sanese, fece di chiaro scuro simile una carta d'Ercole che caccia l'Avarizia, carica di vasi d'oro e d'argento, dal monte di Parnaso, dove sono le muse in diverse belle attitudini, che fu bellissima. E Francesco Parmigiano intagliò in un foglio reale aperto un Diogene, che fu più bella stampa che alcuna che mai facesse Ugo. Il medesimo Parmigiano, avendo mostrato questo modo di fare le stampe con tre forme ad Antonio da Trento, gli fece condurre in una carta grande la decollazione di San Pietro e San Paulo di chiaro scuro. E dopo in un'altra fece con due stampe solo la Sibilla Tiburtina che mostra ad Ottaviano imperadore Cristo nato in grembo alla Vergine, et uno ignudo che sedendo volta le spalle in bella maniera, e similmente in un ovato una Nostra Donna a giacere, e molte altre, che si veggiono fuori di suo stampate dopo la morte di lui da Ioannicolò Vicentino. Ma le più belle poi sono state fatte da Domenico Beccafumi sanese, dopo la morte del detto Parmigiano, come si dirà largamente nella vita di esso Domenico.
Non è anco stata se non lodevole invenzione l'essere stato trovato il moda da intagliare le stampe più facilmente che col bulino, se bene non vengono così nette, cioè con l'acqua forte, dando prima in sul rame una coverta di cera, o di vernice, o colore a olio, e disegnando poi con un ferro, che abbia la punta sottile, che sgraffi la cera o la vernice o il colore che sia; per che messavi poi sopra l'acqua da partire, rode il rame di maniera che lo fa cavo, e vi si può stampare sopra. E di questa sorte fece Francesco Parmigiano molte cose piccole che sono molto graziose, sì come una Natività di Cristo, quando è morto e pianto dalle Marie, uno de' panni di cappella fatti col disegno di Raffaello; e molte altre cose.
Dopo costoro ha fatto cinquanta carte di paesi varii e belli Batista pittore vicentino e Battista del Moro veronese. Et in Fiandra ha fatto Ieronimo Coca l'arti liberali; et in Roma fra' Bastiano viniziano la Visitazione della Pace, e quella di Francesco Salviati della Misericordia; la festa di Testaccio, oltre a molte opere, che ha fatto in Vinezia Battista Franco pittore, e molti altri maestri. Ma per tornare alle stampe semplici di rame, dopo che Marcantonio ebbe fatto tante opere, quanto si è detto di sopra, capitando in Roma il Rosso, gli persuase il Baviera che facesse stampare alcuna delle cose sue, onde egli fece intagliare a Gian Iacopo del Caraglio veronese, che allora aveva bonissima mano e cercava con ogni industria d'imitare Marcantonio, una sua figura di notomia secca, che ha una testa di morte in mano, e siede sopra un serpente, mentre un cigno canta. La quale carta riuscì di maniera, che il medesimo fece poi intagliare, in carte di ragionevole grandezza, alcuna delle forze d'Ercole: l'ammazzar dell'Idra, il combatter col Cerbero, quando uccide Cacco, il rompere le corna al toro, la battaglia de' centauri, e quando Nesso centauro mena via Deianira. Le quali carte riuscirono tanto belle e di buono intaglio, che il medesimo Iacopo condusse, pur col disegno del Rosso, la storia delle Piche, le quali, per voler contendere e cantare a pruova et a gara con le Muse, furono convertite in cornacchie. Avendo poi il Baviera fatto disegnare al Rosso, per un libro, venti dèi posti in certe nicchie con i loro instrumenti, furono da Gian Iacopo Caraglio intagliati con bella grazia e maniera, e non molto dopo le loro trasformazioni. Ma di queste non fece il disegno il Rosso se non di due, perché venuto col Baviera in diferenza, esso Baviera ne fece fare dieci a Perino del Vaga. Le due del Rosso furono il ratto di Proserpina e Fillare trasformato in cavallo. E tutte furono dal Caraglio intagliate con tanta diligenza che sempre sono state in pregio. Dopo cominciò il Caraglio, per il Rosso, il ratto delle Sabine, che sarebbe stato cosa molto rara, ma sopravenendo il sacco di Roma non si poté finire, perché il Rosso andò via e le stampe tutte si perderono. E se bene questa è venuta poi col tempo in mano degli stampatori, è stata cattiva cosa, per avere fatto ...
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