[Pagina precedente]...e d'operare, che per aver perduta anzi tempo o lasciata la guida, si trovano come ciechi in un mare d'infiniti errori.
Ma tornando alle stanze del T., si passa da questa camera di Psiche in un'altra stanza tutta piena di fregi doppi di figure di basso rilievo, lavorate di stucco, col disegno di Giulio, da Francesco Primaticcio bolognese, allora giovane, e da Giovambatista Mantovano. Ne' quali fregi è tutto l'ordine de' soldati che sono a Roma nella colonna Traiana, lavorati con bella maniera. Et in un palco, o vero soffittato d'una anticamera, è dipinto a olio quando Icaro, ammaestrato dal padre Dedalo, per volere troppo alzarsi volando, veduto il segno del cancro, il carro del sole tirato da quattro cavalli in iscorto vicino al segno del leone, rimane senz'ali, essendo dal calore del sole distrutta la cera; et appresso il medesimo precipitando si vede in aria quasi cascare addosso a chi lo mira, tutto tinto nel volto di color di morte. La quale invenzione fu tanto bene considerata et immaginata da Giulio, ch'ella par proprio vera: perciò che vi si vede il calore del sole, friggendo, abruciar l'ali del misero giovane, il fuoco acceso far fumo, e quasi si sente lo scoppiare delle penne che abruciano, mentre si vede scolpita la morte nel volto d'Icaro et in Dedalo la passione et il dolore vivissimo. E nel nostro libro de' disegni di diversi pittori è il proprio disegno di questa bellissima storia di mano di esso Giulio; il quale fece nel medesimo luogo le storie de' dodici mesi dell'anno e quello che in ciascuno d'essi fanno l'arti più dagl'uomini esercitate; la quale pittura non è meno capricciosa e di bella invenzione e dilettevole, che fatta con giudizio e diligenza. Passata questa loggia grande lavorata di stucchi e con molte armi et altri varii ornamenti bizzarri, s'arriva in certe stanze piene di tante varie fantasie che vi s'abaglia l'intelletto; perché Giulio, che era capricciosissimo et ingegnoso, per mostrare quanto valeva, in un canto del palazzo che faceva una cantonata simile alla sopra detta stanza di Psiche, disegnò di fare una stanza la cui muraglia avesse corrispondenza con la pittura, per ingannare quanto più potesse gl'uomini che dovevano vederla. Fatto dunque fondare quel cantone, che era in luogo paduloso, con fondamenti alti e doppi, fece tirare sopra la cantonata una gran stanza tonda e di grossissime mura, acciò che i quattro cantoni di quella muraglia dalla banda di fuori venissero più gagliardi e potessino regger una volta doppia e tonda a uso di forno. E ciò fatto, avendo quella camera cantoni, vi fece per lo girare di quella a' suoi luoghi murare le porte, le finestre et il camino di pietre rustiche a caso scantonate e quasi in modo scommesse e torte, che parea proprio pendessero in sur un lato e rovinassero veramente. E murata questa stanza così stranamente, si mise a dipignere in quella la più capricciosa invenzione che si potesse trovare, cioè Giove che fulmina i giganti; e così figurato il cielo, nel più alto della volta vi fece il trono di Giove, facendono in iscorto al disotto in su et in faccia e dentro a un tempio tondo sopra le colonne trasforato di componimento ionico e con l'ombrella nel mezzo sopra il seggio, con l'aquila sua, e tutto posto sopra le nuvole; e più a basso fece Giove irato che fulmina i superbi giganti, e più a basso è Giunone che gli aiuta, et intorno i venti che con certi visi strani soffiano verso la terra, mentre la dea Opis si volge con i suoi leoni al terribile rumor de' fulmini, sì come ancor fanno gl'altri dei e dee e massimamente Venere, che è a canto a Marte e Momo, che con le braccia aperte pare che dubiti che non rovini il cielo, e non di meno sta immobile. Similmente le Grazie si stanno tutte piene di timore, e l'Ore appresso quelle nella medesima maniera. Et insomma ciascuna deità si mette con i suoi carri in fuga; la luna con Saturno et Iano vanno verso il più chiaro de' nuvoli per allontanarsi da quell'orribile spavento e furore, et il medesimo fa Nettunno, perciò che con i suoi delfini pare che cerchi fermarsi sopra il tridente. E Pallade con le nove Muse sta guardando che cosa orribile sia quella. E Pan, abbracciata una ninfa che trema di paura, pare voglia scamparla da quello incendio e lampi de' fulmini di che è pieno il cielo. Apollo si sta sopra il carro solare, et alcune dell'Ore pare che voglino ritenere il corso de' cavalli. Bacco e Sileno con satiri e ninfe mostrano aver grandissima paura. E Vulcano col ponderoso martello sopra una spalla guarda verso Ercole, che parla di quel caso con Mercurio, il quale si sta allato a Pomona tutta paurosa, come sta anche Vertunno con tutti gl'altri dèi sparsi per quel cielo dove sono tanto bene sparsi tutti gl'effetti della paura, così in coloro che stanno, come in quelli che fuggono, che non è possibile, non che vedere, imaginarsi più bella fantasia di questa in pittura.
Nelle parti da basso, cioè nelle facciate che stanno per ritto, sotto il resto del girare della volta, sono i giganti, alcuni de' quali, sotto Giove, hanno sopra di loro monti et addosso grandissimi sassi, i quali reggono con le forti spalle per fare altezza e salita al cielo, quando s'apparecchia la rovina loro, perché Giove fulminando, e tutto il cielo adirato contra di loro, pare che non solo spaventi il temerario ardire de' giganti, rovinando loro i monti addosso, ma che sia tutto il mondo sotto sopra e quasi al suo ultimo fine. Et in questa parte fece Giulio Briareo in una caverna oscura quasi ricoperto da pezzi altissimi di monti, e gli altri giganti tutti infranti et alcuni morti sotto le rovine delle montagne. Oltre ciò si vede per un straforo nello scuro d'una grotta, che mostra un lontano fatto con bel giudizio, molti giganti fuggire tutti percossi da' fulmini di Giove e quasi per dovere allora essere oppressi dalle rovine de' monti come gl'altri. In un'altra parte figurò Giulio altri giganti, a' quali rovinano sopra tempii, colonne et altri pezzi di muraglie, facendo di quei superbi grandissima strage e mortalità . Et in questo luogo è posto, fra queste muraglie che rovinano, il camino della stanza, il quale mostra, quando vi si fa fuoco, che i giganti ardono, per esservi dipinto Plutone che con il suo carro tirato da cavagli secchi et accompagnato dalle furie infernali si fugge nel centro. E così non si partendo Giulio, con questa invenzione del fuoco, dal proposito della storia, fa ornamento bellissimo al camino. Fece oltre ciò Giulio in quest'opera, per farla più spaventevole e terribile, che i giganti grandi e di strana statura (essendo in diversi modi dai lampi e da' fulgori percossi) rovinato a terra: e quale inanzi e quale a dietro si stanno, chi morto, chi ferito e chi da monti e rovine di edifizii ricoperto. Onde non si pensi alcuno vedere mai opera di pennello più orribile e spaventosa, né più naturale di questa. E chi entra in quella stanza, vedendo le finestre, le porte et altre così fatte cose torcersi e quasi per rovinare, et i monti e gl'edifizii cadere, non può non temere che ogni cosa non gli rovini addosso, vedendo massimamente in quel cielo tutti gli dii andare chi qua e chi là fuggendo. E quello che è in questa opera maraviglioso, è il veder tutta quella pittura non avere principio né fine, et attaccata tutta e tanto bene continuata insieme senza termine o tramezzo di ornamento, che le cose, che sono appresso de' casamenti, paiono grandissime, e quelle che allontanano, dove sono paesi, vanno perdendo in infinito. Onde quella stanza, che non è lunga più di quindici braccia, pare una campagna di paese; senzaché, essendo il pavimento di sassi tondi, piccioli, murati per coltello, et il cominciare delle mura che vanno per diritto dipinte de' medesimi sassi, non vi appare canto vivo e viene a parere quel piano grandissima cosa. Il che fu fatto con molto giudizio e bell'arte da Giulio, al quale per così fatte invenzioni deveno molto gl'artefici nostri.
Diventò in quest'opera perfetto coloritore il sopra detto Rinaldo Mantovano, perché lavorando con i cartoni di Giulio, condusse tutta quest'opera a perfezzione et insieme l'altre stanze. E se costui non fusse stato tolto al mondo così giovane, come fece onore a Giulio mentre visse, così arebbe fatto dopo morte. Oltre a questo palazzo, nel quale fece Giulio molte cose degne di essere lodate, le quali si tacciono sì per fuggire la troppa lunghezza, rifece di muraglia molte stanze del castello dove in Mantova abita il duca, e due scale a lumaca grandissime, con apartamenti ricchissimi et ornati di stucco per tutto. Et in una sala fece dipignere tutta la storia e guerra troiana, e similmente in una anticamera dodici storie a olio, sotte le teste de' dodici imperadori state prima dipinte da Tiziano Vecellio che sono tenute rare. Parimente a Marmiruolo, luogo lontano da Mantova cinque miglia, fu fatta con ordine e disegno di Giulio una commodissima fabbrica e grandi pitture, non men belle che quelle del castello e del palazzo del T. Fece il medesimo, in Santo Andrea di Mantova, alla cappella della signora Isabella Buschetta, in una tavola a olio, una Nostra Donna in atto di adorare il puttino Gesù che giace in terra, e Giuseppo e l'asino et il bue vicini a un presepio, e da una banda San Giovanni Evangelista, e dall'altra San Longino, figure grandi quanto il naturale. Nelle facciate poi di detta cappella, fece colorire a Rinaldo, con suoi disegni, due storie bellissime: cioè in una la Crocifissione di Gesù Cristo con i ladroni et alcuni Angeli in aria, e da basso i crocifissori con le Marie e molti cavalli, de' quali si dilettò sempre e gli fece bellissimi a maraviglia, e molti soldati in varie attitudini; nell'altra fece quando al tempo della contessa Matilda si trovò il sangue di Cristo, che fu opera bellissima. E doppo fece Giulio al duca Federigo in un quadro di sua propria mano la Nostra Donna che lava Gesù Cristo fanciulletto, che sta in piedi dentro a un bacino, mentre San Giovannino getta l'acqua fuor d'un vaso, le quali amendue figure, che sono grandi quanto il naturale, sono bellissime; e dal mezzo in su nel lontano sono di figure piccole alcune gentildonne che vanno a visitarla. Il qual quadro fu poi donato dal duca alla signora Isabella Buschetta. Della quale signora fece poi Giulio il ritratto, e bellissimo, in un quadretto piccolo d'una Natività di Cristo, alto un braccio, che è oggi appresso al signor Vespasiano Gonzaga con un altro quadro donatogli dal duca Federigo, pur di mano di Giulio, nel quale è un giovane et una giovane abbracciati insieme sopra un letto, in atto di farsi carezze, mentre una vecchia dietro a un uscio nascosamente gli guarda. Le quali figure sono poco meno che il naturale e molto graziose. Et in casa il medesimo è in un altro quadro molto eccellente un San Ieronimo bellissimo di mano pur di Giulio. Et appresso del conte Nicola Maffei è un quadro d'uno Alessandro Magno, con una vettoria in mano, grande quanto il naturale, ritratto da una medaglia antica, che è cosa molto bella. Dopo queste opere dipinse Giulio a fresco, per Messer Girolamo organista del Duomo di Mantova suo amicissimo, sopra un camino, a fresco un Vulcano che mena con una mano i mantici e con l'altra, che ha un paio di molle, tiene il ferro d'una freccia che fabrica, mentre Venere ne tempera in un vaso alcune già fatte e le mette nel turcasso di Cupido. E questa è una delle belle opere che mai facesse Giulio, e poco altro in fresco si vede di sua mano. In San Domenico fece per Messer Lodovico da Fermo in una tavola un Cristo morto, il quale s'apparecchiano Giuseppo e Nicodemo di porlo nel sepolcro, et appresso la madre e l'altre Marie e S. Giovanni Evangelista. Et un quadretto, nel quale fece similmente un Cristo morto, è in Vinezia in casa Tommaso da Empoli fiorentino.
In quel medesimo tempo che egli queste et altre pitture lavorava, avenne che il signor Giovanni de' Medici, essendo ferito da un moschetto, fu portato a Mantova dove egli si morì, per che Messer Pietro Aretino, affezzionatissimo servitore di quel signore...
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