[Pagina precedente]...tra Donna che visita Santa Lisabetta, vi sono molte femmine ritratte dal vivo che sono molto belle e fatte con somma grazia. Ma vi si conosce che quest'uomo durava grandissima fatica in tutte le cose che operava, e ch'elle non gli venivano fatte con una certa facilità che suole tal volta dar la natura e lo studio a chi si compiace nel lavorare e si esercita continovamente. E che ciò sia vero, nella medesima Pace, nella cappella d'Agostin Chigi, dove Raffaello aveva fatte le sibille et i profeti, voleva nella nicchia, che di sotto rimase, dipignere Bastiano, per passare Raffaello, alcune cose sopra la pietra, e perciò l'aveva fatta incrostare di peperigni e le commettiture saldate con stucco a fuoco, ma se n'andò tanto in considerazione, che la lasciò solamente murata; per che essendo stata così dieci anni, si morì.
Bene è vero che da Sebastiano si cavava, e facilmente, qualche ritratto di naturale, perché gli venivano con più agevolezza e più presto finiti, ma il contrario avveniva delle storie et altre figure. E per vero dire il ritrarre di naturale era suo proprio, come si può vedere nel ritratto di Marc'Antonio Colonna, tanto ben fatto che par vivo. Et in quello ancora di Ferdinando marchese di Pescara, et in quello della Signora Vettoria Colonna, che sono bellissimi. Ritrasse similmente Adriano Sesto quando venne a Roma, et il cardinale Nincofort, il quale volle che Sebastiano gli facesse una cappella in Santa Maria de Anima in Roma. Ma trattenendolo d'oggi in domani, il cardinale la fece finalmente dipignere a Michele Fiamingo suo paesano, che vi dipinse storie della vita di Santa Barbara in fresco, imitando molto bene la maniera nostra d'Italia, e nella tavola fece il ritratto di detto cardinale.
Ma tornando a Sebastiano, egli ritrasse ancora il signor Federigo da Bozzolo, et un non so che capitano armato che è in Fiorenza appresso Giulio de' Nobili, et una femmina con abito romano, che è in casa di Luca Torrigiani. Et una testa, di mano del medesimo, ha Giovan Batista Cavalcanti, che non è del tutto finita. In un quadro fece una Nostra Donna che con un panno cuopre un putto, che fu cosa rara, e l'ha oggi nella sua guardaroba il cardinal Farnese. Abbozzò, ma non condusse a fine, una tavola molto bella d'un San Michele che è sopra un diavolo grande, la quale doveva andare in Francia al re che prima aveva avuto un quadro di mano del medesimo.
Essendo poi creato sommo pontefice Giulio cardinal de' Medici, che fu chiamato Clemente Settimo, fece intendere a Sebastiano, per il vescovo di Vasona, ch'era venuto il tempo di fargli bene e che se n'avedrebbe all'occasioni. Sebastiano intanto, essendo unico nel fare ritratti, mentre si stava con queste speranze fece molti di naturale, ma fra gli altri papa Clemente, che allora non portava barba; ne fece, dico, due: uno n'ebbe il vescovo di Vasona e l'altro, che era molto maggiore, cioè infino alle ginocchia et a sedere, è in Roma nelle case di Sebastiano. Ritrasse anche Antonfrancesco degl'Albizi fiorentino, che allora per sue facende si trovava in Roma, e lo fece tale che non pareva dipinto, ma vivissimo. Onde egli, come una preziosissima gioia se lo mandò a Fiorenza. Erano la testa e le mani di questo ritratto cosa certo maravigliosa, per tacere quanto erano ben fatti i velluti, le fodere, i rasi e l'altre parti tutte di questa pittura. E perché era veramente Sebastiano nel fare i ritratti di tutta finezza e bontà a tutti gli altri superiore, tutta Fiorenza stupì di questo ritratto d'Antonfrancesco.
Ritrasse ancora in questo medesimo tempo Messer Pietro Aretino, e lo fece sì fatto che, oltre al somigliarlo, è pittura stupendissima per vedervisi la differenza di cinque o sei sorti di neri che egli ha addosso: velluto, raso, ermisino, damasco e panno, et una barba nerissima sopra quei neri, sfilata tanto bene che più non può essere il vivo e naturale. Ha in mano questo ritratto un ramo di lauro et una carta dentrovi scritto il nome di Clemente Settimo e due maschere inanzi, una bella per Virtù e l'altra brutta per il Vizio. La quale pittura Messer Pietro donò alla patria sua, et i suoi cittadini l'hanno messa nella sala publica del loro consiglio, dando così onore alla memoria di quel loro ingegnoso cittadino e ricevendone da lui non meno. Dopo ritrasse Sebastiano Andrea Doria, che fu nel medesimo modo cosa mirabile, e la testa di Baccio Valori fiorentino, che fu anch'essa bella quanto più non si può credere.
In questo mentre, morendo frate Mariano Fetti, frate del Piombo, Sebastiano ricordandosi delle promesse fattegli dal detto vescovo di Vasona, maestro di casa di Sua Santità , chiese l'ufficio del Piombo, onde, se bene anco Giovanni da Udine, che tanto ancor egli aveva servito Sua Santità in minoribus e tuttavia la serviva, chiese il medesimo ufficio; il Papa, per i prieghi del vescovo e perché così la virtù di Sebastiano meritava, ordinò che esso Bastiano avesse l'ufficio e sopra quello pagasse a Giovanni da Udine una pensione di trecento scudi. Laonde Sebastiano prese l'abito del frate e subito per quello si sentì variare l'animo. Per che, vedendosi avere il modo di potere sodisfare alle sue voglie senza colpo di pennello, se ne stava riposando, e le male spese notti et i giorni affaticati ristorava con gli agi e con l'entrate. E quando pure aveva a fare una cosa si riduceva al lavoro con una passione che pareva andasse alla morte. Da che si può conoscere quanto s'inganni il discorso nostro e la poca prudenza umana, che bene spesso, anzi il più delle volte, brama il contrario di ciò che più ci fa di mestiero, e credendo segnarsi (come suona il proverbio tosco) con un dito, si dà nell'occhio.
È comune opinione degl'uomini che i premii e gl'onori accendino gl'animi de' mortali agli studii di quell'arti che più veggiono essere rimunerate, e che per contrario gli faccia stracurarle et abbandonarle il vedere che coloro, i quali in esse s'affaticano, non siano dagl'uomini, che possono, riconosciuti. E per questo gl'antichi e moderni insieme biasimano quanto più sanno e possono que' prìncipi che non sollievano i virtuosi di tutte le sorti, e non dà nno i debiti premii et onori a chi virtuosamente s'affatica. E come che questa regola per lo più sia vera si vede pur tuttavia, che alcuna volta la liberalità de' giusti e magnanimi prìncipi operare contrario effetto, poiché molti sono di più utile e giovamento al mondo in bassa e mediocre fortuna, che nelle grandezze et abbondanze di tutti i beni non sono. Et a proposito nostro, la magnificenza e liberalità di Clemente Settimo, a cui serviva Sebastiano viniziano, eccellentissimo pittore, rimunerandolo troppo altamente, fu cagione che egli, di sollecito et industrioso, divenisse infingardo e negligentissimo; e che dove, mentre durò la gara fra lui e Raffaello da Urbino e visse in povera fortuna, si affaticò di continuo, fece tutto il contrario poi che egli ebbe da contentarsi. Ma comunche sia, lasciando nel giudizio de' prudenti prìncipi il considerare come, quando, a cui, et in che maniera e con che regola deono la liberalità verso gl'artefici e virtuosi uomini usare, dico, tornando a Sebastiano, che egli condusse con gran fatica, poi che fu fatto frate del Piombo, al patriarca d'Aquilea un Cristo che porta la croce, dipinto in pietra dal mezzo in su, che fu cosa molto lodata, e massimamente nella testa e nelle mani, nelle quali parti era Bastiano veramente eccellentissimo.
Non molto dopo, essendo venuta a Roma la nipote del Papa, che fu poi et è ancora reina di Francia, fra' Sebastiano la cominciò a ritrarre, ma non finita si rimase nella guardaroba del Papa. E poco appresso, essendo il cardinale Ippolito de' Medici innamorato della signora Giulia Gonzaga, la quale allora si dimorava a Fondi, mandò il detto cardinale in quel luogo Sebastiano, accompagnato da quattro cavai leggeri, a ritrarla. Et egli in termine d'un mese fece quel ritratto; il quale, venendo dalle celesti bellezze di quella signora e da così dotta mano, riuscì una pittura divina; onde, portata a Roma, furono grandemente riconosciute le fatiche di quell'artefice dal cardinale che conobbe questo ritratto, come veramente era, passar di gran lunga quanti mai n'aveva fatto Sebastiano infino a quel giorno. Il qual ritratto fu poi mandato al re Francesco in Francia, che lo fe porre nel suo luogo di Fontanableò.
Avendo poi cominciato questo pittore un nuovo modo di colorire in pietra, ciò piaceva molto a' popoli, parendo che in quel modo le pitture diventassero eterne e che né il fuoco, né i tarli potessero lor nuocere. Onde cominciò a fare in queste pietre molte pitture, ricignendole con ornamenti d'altre pietre mischie, che fatte lustranti facevano accompagnatura bellissima. Ben è vero che, finite, non si potevano né le pitture, né l'ornamento, per lo troppo peso, né muovere, né trasportare se non con grandissima difficultà . Molti dunque tirati dalla novità della cosa e dalla vaghezza dell'arte, gli davano arre di danari perché lavorasse per loro, ma egli, che più si dilettava di ragionarne che di farle, mandava tutte le cose per la lunga. Fece non di meno un Cristo morto e la Nostra Donna in una pietra, per don Ferrante Gonzaga, il quale lo mandò in Ispagna con un ornamento di pietra, che tutto fu tenuto opera molto bella, et a Sebastiano fu pagata quella pittura cinquecento scudi da Messer Niccolò da Cortona, agente in Roma del cardinale di Mantova.
Ma in questo fu Bastiano veramente da lodare, perciò che dove Domenico suo compatriota, il quale fu il primo che colorisse a olio in muro, e dopo lui Andrea dal Castagno, Antonio e Piero del Pollaiuolo, non seppero trovar modo che le lor figure a questo modo fatte non diventassino nere, né invecchiassero così presto, lo seppe trovar Bastiano. Onde il Cristo alla colonna, che fece in San Piero a Montorio, infino ad ora non ha mai mosso et ha la medesima vivezza e colore che il primo giorno: perché usava costui questa così fatta diligenza, che faceva l'arricciato grosso della calcina con mistura di mastice e pece greca, e quelle insieme fondate al fuoco e date nelle mura, faceva poi spianare con una mescola da calcina fatta rossa, o vero rovente, al fuoco. Onde hanno potuto le sue cose reggere all'umido e conservare benissimo il colore senza farli far mutazione. E con la medesima mestura ha lavorato sopra le pietre di peperigni, di marmi, di mischi, di porfidi e lastre durissime, nelle quali possono lunghissimo tempo durare le pitture; oltre che ciò ha mostrato come si possa dipignere sopra l'argento, rame, stagno et altri metalli. Quest'uomo aveva tanto piacere in stare ghiribizzando e ragionare, che si tratteneva i giorni interi per non lavorare. E quando pur vi si riduceva, si vedea che pativa dell'animo infinitamente; da che veniva in gran parte che egli aveva openione che le cose sue non si potessino con verun prezzo pagare. Fece per il cardinale d'Aragona, in un quadro, una bellissima S. Agata ignuda e martirizata nelle poppe, che fu cosa rara. Il qual quadro è oggi nella guardaroba del signor Guidobaldo duca d'Urbino, e non è punto inferiore a molti altri quadri bellissimi che vi sono di mano di Raffaello da Urbino, di Tiziano e d'altri. Ritrasse anche di naturale il signor Piero Gonzaga in una pietra, colorito a olio, che fu un bellissimo ritratto, ma penò tre anni a finirlo.
Ora essendo in Firenze al tempo di papa Clemente Michelagnolo, il quale attendeva all'opera della nuova sagrestia di San Lorenzo, voleva Giuliano Bugiardini fare a Baccio Valori in un quadro la testa di papa Clemente et esso Baccio, et in un altro, per Messer Ottaviano de' Medici, il medesimo Papa e l'arcivescovo di Capua; per che Michelagnolo, mandando a chiedere a fra' Sebastiano che di sua mano gli mandasse da Roma dipinta a olio la testa del Papa, egli ne fece una e gliela mandò, che riuscì bellissima. Della quale, poi che si fu servito Giuliano e che ebbe i suoi quadri finiti, Michelagnolo, che era compare di detto Messere Ottaviano, gliene fece un presente. E certo di quante ne fece fra' Seb...
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