[Pagina precedente]...o alla Nostra Donna, e ritrasse di naturale quella gentildonna che par ancor viva. La quale opera è condotta con una destrezza molto facile e molto bella. Aveva in questo tempo Antonio da Sangallo fatto in Roma, in su una cantonata di casa, che si dice l'immagine di Ponte, un tabernacolo molto ornato di trevertino e molto onorevole, per farvi dentro di pitture qualcosa di bello; e così ebbe commessione dal padrone di quella casa che lo dessi a fare a chi li pareva che fusse atto a farvi qualche onorata pittura. Onde Antonio, che conosceva Perino di que' giovani che vi erano per il migliore, a lui la allogò. Et egli messovi mano, vi fece dentro Cristo quando incorona la Nostra Donna, e nel campo fece uno splendore con un coro di Serafini et Angeli che hanno certi panni sottili che spargono fiori, et altri putti molto belli e varii, e così nelle due facce del tabernacolo fece nell'una San Bastiano e nell'altra Santo Antonio, opera certo ben fatta e simile alle altre sue, che sempre furono e vaghe e graziose.
Aveva finito nella Minerva un protonotario, una cappella di marmo in su quattro colonne; e come quello che desiderava lassarvi una memoria d'una tavola, ancora che non fusse molto grande, sentendo la fama di Perino, convenne seco e gliela fece lavorare a olio, et in quella volle a sua elezzione un Cristo sceso di croce; il quale Perino, con ogni studio e fatica, si messe a condurre. Dove egli lo figurò esser già in terra deposto, et insieme le Marie intorno che lo piangono, fingendo un dolore e compassionevole affetto nelle attitudini e gesti loro; oltra che vi sono que' Niccodemi, e le altre figure ammiratissime, meste et afflitte nel vedere l'innocenza di Cristo morto. Ma quel che egli fece divinissimamente furono i duoi ladroni, rimasti confitti in sulla croce, che sono oltra al parer morti e veri, molto ben ricerchi di muscoli e di nervi, avendo egli occasione di farlo, onde si rappresentano, a gl'occhi di chi li vede, le membra loro in quella morte violenta tirate dai nervi et i muscoli da' chiovi e dalle corde. Èvvi oltre ciò un paese nelle tenebre, contrafatto con molta discrezione et arte. E se a questa opera non avesse la inondazione del diluvio che venne a Roma doppo il Sacco fatto dispiacere coprendola più di mezza, si vedrebbe la sua bontà , ma l'acqua rintenerì di maniera il gesso e fece gonfiare il legname di sorte, che tanto quanto se ne bagnò da piè si è scortecciato in modo che se ne gode poco, anzi fa compassione il guardalla e grandissimo dispiacere, perché ella sarebbe certo de le pregiate cose che avesse Roma.
Facevasi in questo tempo per ordine di Iacopo Sansovino rifar la chiesa di S. Marcello di Roma, convento de' frati de' Servi, che oggi è rimasa imperfetta; onde, avendo eglino tirate a fine di muraglia alcune cappelle e coperte di sopra, ordinaron que' frati che Perino facesse in una di quelle per ornamento d'una Nostra Donna, devozione in quella chiesa, due figure in due nicchie che la mettessino in mezzo: San Giuseppo e San Filippo, frate de' Servi et autore di quella Religione. E quelli finiti, fece loro sopra alcuni putti perfettissimamente, e ne messe in mezzo della facciata uno ritto in sur un dado che tiene sulle spalle il fine di due festoni che esso manda verso le cantonate della cappella, dove sono due altri putti che gli reggono a sedere in su quelli, facendo con le gambe attitudini bellissime. E questo lavorò con tant'arte, con tanta grazia, con tanta bella maniera, dandoli nel colorito una tinta di carne e fresca e morbida, che si può dire che sia carne vera, più che dipinta. E certo si possono tenere per i più begli che in fresco facesse mai artefice nessuno; la cagione è che nel guardo vivono, nell'attitudine si muovono, e ti fan segno con la bocca voler isnodar la parola, e che l'arte vince la natura, anzi che ella confessa non potere far in quella più di questo. Fu questo lavoro di tanta bontà nel conspetto di chi intendeva l'arte, che ne acquistò gran nome, ancora che egli avesse fatto molte opere e si sapesse certo quello che si sapeva del grande ingegno suo in quel mestiero; e se ne tenne molto più conto e maggiore stima, che prima non si era fatto.
E per questa cagione Lorenzo Pucci cardinale Santiquattro, avendo preso alla Trinità , convento de' frati calavresi e franciosi che vestono l'abito di San Francesco di Paula, una cappella a man manca allato alla cappella maggiore, la allogò a Perino, acciò che in fresco vi dipignesse la vita della Nostra Donna. La quale cominciata da lui, finì tutta la volta et una facciata sotto un arco; e così fuor di quella, sopra un arco della cappella, fece due Profeti grandi di quattro braccia e mezzo, figurando Isaia e Daniel, i quali nella grandezza loro mostrano quell'arte e bontà di disegno e vaghezza di colore, che può perfettamente mostrare una pittura fatta da artefice grande. Come apertamente vedrà chi considererà lo Esaia, che mentre legge si conosce la maninconia che rende in sé lo studio et il desiderio nella novità del leggere, perché affisato lo sguardo a un libro, con una mano alla testa mostra come l'uomo sta qualche volta quando egli studia. Similmente il Daniel immoto alza la testa alle contemplazioni celesti, per isnodare i dubbi a' suoi popoli. Sono, nel mezzo di questi, due putti che tengono l'arme del cardinale, con bella foggia di scudo, i quali oltre l'esser dipinti che paion di carne, mostrano ancor esser di rilievo. Sono sotto spartite nella volta quattro storie, dividendole la crocera, cioè gli spigoli delle volte. Nella prima è la concezzione di essa Nostra Donna; nella seconda è la natività sua; nella terza è quando ella saglie i gradi del tempio; e nella quarta quando San Giuseppo la sposa. In una faccia, quanto tiene l'arco della volta, è la sua visitazione, nella quale sono molte belle figure, e massimamente alcune che son salite in su certi basamenti; che, per veder meglio le cerimonie di quelle donne, stanno con prontezza molto naturale; oltraché i casamenti e l'altre figure hanno del buono e del bello in ogni loro atto. Non seguitò più giù, venendoli male; e guarito cominciò, l'anno 1523, la peste, la quale fu di sì fatta sorte in Roma, che se egli volle campar la vita, gli convenne far proposito partirsi. Era in questo tempo in detta città il Piloto orefice, amicissimo e molto familiare di Perino, il quale aveva volontà partirsi; e così desinando una mattina insieme, persuase Perino ad allontanarsi e venire a Fiorenza, atteso che egli era molti anni che egli non ci era stato, e che non sarebbe se non grandissimo onor suo farsi conoscere e lasciare in quella qualche segno della eccellenza sua. Et ancora che Andrea de' Ceri e la moglie che l'avevano allevato fussino morti, nondimeno egli, come nato in quel paese, ancor che non ci avesse niente, ci aveva amore. Onde non passò molto che egli et il Piloto una mattina partirono, et in verso Fiorenza ne vennero. Et arrivati in quella, ebbe grandissimo piacere riveder le cose vecchie dipinte da' maestri passati che già gli furono studio nella sua età puerile, e così ancora quelle di que' maestri che vivevano allora de' più celebrati e tenuti migliori in quella città , nella quale per opera degl'amici gli fu allogato un lavoro, come di sotto si dirà .
Avenne che, trovandosi un giorno seco per fargli onore molti artefici, pittori, scultori, architetti, orefici et intagliatori di marmi e di legnami, che secondo il costume antico si erano ragunati insieme, chi per vedere et accompagnare Perino et udire quello che e' diceva, e molti per veder che differenza fusse fra gli artefici di Roma e quegli di Fiorenza nella pratica - et i più v'erano per udire i biasimi e le lode che sogliono spesso dire gli artefici l'un de l'altro - avvenne, dico, che così ragionando insieme d'una cosa in altra, pervennero, guardando l'opere e vecchie e moderne per le chiese, in quella del Carmine per veder la cappella di Masaccio. Dove guardando ognuno fisamente e moltiplicando in varii ragionamenti in lode di quel maestro, tutti affermarono maravigliarsi che egli avesse avuto tanto di giudizio che egli in quel tempo, non vedendo altro che l'opere di Giotto, avesse lavorato con una maniera sì moderna nel disegno, nella imitazione e nel colorito, che egli avesse avuto forza di mostrare, nella facilità di quella maniera, la difficultà di quest'arte; oltreché nel rilievo e nella resoluzione e nella pratica non ci era stato nessuno di quegli che avevano operato, che ancora lo avesse raggiunto. Piacque assai questo ragionamento a Perino, e rispose a tutti quegli artefici, che ciò dicevano, queste parole: "Io non niego quel che voi dite che non sia, e molto più ancora, ma che questa maniera non ci sia chi la paragoni negherò io sempre; anzi dirò, se si può dire, con sopportazione di molti, non per dispregio, ma per il vero, che molti conosco e più risoluti e più graziati; le cose de' quali non sono manco vive in pittura di queste, anzi molto più belle. E mi duole in servigio vostro, io che non sono il primo dell'arte, che non ci sia luogo qui vicino da potervi fare una figura che, innanzi che io mi partisse di Fiorenza, farei una prova, allato a una di queste in fresco medesimamente, acciò che voi col paragone vedeste se ci è nessuno fra i moderni che l'abbia paragonato". Era fra costoro un maestro tenuto il primo in Fiorenza nella pittura, e come curioso di veder l'opere di Perino e forse per abbassarli lo ardire, messe innanzi un suo pensiero, che fu questo: "Se bene egli è pieno", diss'egli, "costì ogni cosa, avendo voi cotesta fantasia, che è certo buona e da lodare, egli è qua al dirimpetto dove è il San Paolo di sua mano, non meno buona e bella figura che si sia ciascuna di queste della cappella, uno spazio: agevolmente potrete mostrarci quello che voi dite, faccendo un altro Apostolo allato, o volete a quel San Piero di Masolino, o allato al San Paolo di Masaccio". Era il San Piero più vicino alla finestra et eraci migliore spazio e miglior lume, et oltre a questo non era manco bella figura che il San Paolo. Adunque ognuno confortavano Perino a fare, perché avevano caro veder questa maniera di Roma; oltreché molti dicevano che egli sarebbe cagione di levar loro del capo questa fantasia, tenuta nel cervello tante decine d'anni, e che s'ella fusse meglio, tutti correrebbono a le cose moderne. Per il che, persuaso Perino da quel maestro, che gli disse in ultimo che non doveva mancarne, per la persuasione e piacere di tanti begli ingegni, oltre che elle erano due settimane di tempo quelle che a fresco conducevano una figura, e che loro non mancherebbono spender gli anni in lodare le sue fatiche, si risolvette di fare, se bene colui che diceva così era d'animo contrario, persuadendosi che egli non dovesse fare però cosa molto miglior di quello che facevano allora quegli artefici che tenevano il grado de' più eccellenti. Accettò Perino di far questa prova, e chiamato di concordia Messer Giovanni da Pisa priore del convento, gli dimandarono licenzia del luogo per far tal opera, che invero di grazia e cortesemente lo concedette loro; e così preso una misura del vano, con le altezze e larghezze, si partirono. Fu dunque fatto da Perino in un cartone un Apostolo in persona di S. Andrea e finito diligentissimamente, onde era già Perino risoluto voler dipignerlo, et avea fatto fare l'armatura per cominciarlo; ma inanzi a questo nella venuta sua molti amici suoi, che avevano visto in Roma eccellentissime opere sue, gli avevano fatto allogare quell'opera a fresco ch'io dissi, acciò lasciasse di sé in Fiorenza qualche memoria di sua mano che avesse a mostrare la bellezza e la vivacità dell'ingegno che egli aveva nella pittura, et acciò che fusse cognosciuto e forse, da chi governava allora, messo in opera in qualche lavoro d'importanza.
Erano in Camaldoli di Fiorenza allora uomini artefici che si ragunavano a una Compagnia, nominata de' Martiri, i quali avevano avuto voglia più volte di far dipignere una facciata, che era in quella, drentovi la storia di ess...
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