[Pagina precedente]...to et ordine dorico, fatta secondo i disegni e modelli di man di Perino, con sue appartenenze di piedistalli, base, fuso, capitelli, architrave, fregio, cornicione e frontespizio, e con alcune bellissime femmine a sedere che reggono un'arme. La quale opera e lavoro intagliò di quadro maestro Giovanni da Fiesole, e le figure condusse a perfezzione Silvio scultore da Fiesole, fiero e vivo maestro. Entrando dentro alla porta è, sopra il ricetto, una volta piena di stucchi con istorie varie e grottesche, con suoi archetti, ne' quali è dentro per ciascuno cose armigere, chi combatte appiè, chi a cavallo, e battaglie varie lavorate con una diligenza et arte certo grandissima.
Truovandosi le scale a man manca, le quali non possono avere il più bello e ricco ornamento di grotteschine all'antica, con varie storie e figurine piccole, maschere, putti, animali et altre fantasie, fatte con quella invenzione e giudizio che solevano esser le cose sue, che in questo genere veramente si possono chiamare divine. Salita la scala, si giugne in una bellissima loggia, la quale ha nelle teste, per ciascuna, una porta di pietra bellissima, sopra le quali, ne' frontespizii di ciascuna, sono dipinte due figure, un maschio et una femmina, volte l'una al contrario dell'altra per l'attitudine, mostrando una la veduta dinanzi, l'altra quella di dietro. Èvvi la volta con cinque archi, lavorata di stucco superbamente, e così tramezzata di pitture con alcuni ovati, dentrovi storie fatte con quella somma bellezza che più si può fare; e le facciate son lavorate fino in terra, dentrovi molti capitani a sedere armati, parte ritratti di naturale e parte imaginati, fatti per tutti i capitani antichi e moderni di casa Doria, e di sopra loro son queste lettere d'oro grandi che dicono: "Magni viri, maximi duces, optima fecere pro patria". Nella prima sala, che risponde in su la loggia dove s'entra per una delle due porte a man manca, nella volta sono ornamenti di stucchi bellissimi; in sugli spigoli e nel mezzo è una storia grande di un naufragio d'Enea in mare, nel quale sono ignudi vivi e morti, in diverse e varie attitudini, oltre un buon numero di galee e navi, chi salve e chi fracassate dalla tempesta del mare, non senza bellissime considerazioni delle figure vive che si adoprano a difendersi, senza gli orribili aspetti che mostrano nelle cere il travaglio dell'onde, il pericolo della vita e tutte le passioni che dà nno le fortune marittime.
Questa fu la prima storia et il primo principio che Perino cominciasse per il prencipe, e dicesi che nella sua giunta in Genova era già comparso inanzi a lui per dipignere alcune cose Girolamo da Trevisi, il quale dipigneva una facciata che guardava verso il giardino, e mentre che Perino cominciò a fare il cartone della storia che di sopra s'è ragionato del naufragio, e mentre che egli a bell'agio andava trattenendosi e vedendo Genova, continovava o poco o assai al cartone, di maniera che già n'era finito gran parte in diverse fogge, e disegnati quegli ignudi, altri di chiaro e scuro, altri di carbone e di lapis nero, altri gradinati, altri tratteggiati e dintornati solamente, mentre, dico, che Perino stava così e non cominciava, Girolamo da Trevisi mormorava di lui, dicendo: "Che cartoni e non cartoni! Io, io ho l'arte su la punta del pennello".
E sparlando più volte in questa o simil maniera, pervenne agli orecchi di Perino, il quale, presone sdegno, subito fece conficcare nella volta, dove aveva andare la storia dipinta, il suo cartone, e levato in molti luoghi le tavole del palco acciò si potesse veder di sotto, aperse la sala. Il che sentendosi, corse tutta Genova a vederlo e, stupiti del gran disegno di Perino, lo celebrarono immortalmente. Andovvi fra gli altri Girolamo da Trivisi, il quale vide quello che egli mai non pensò vedere di Perino; onde, spaventato dalla bellezza sua, si partì di Genova senza chieder licenza al prencipe Doria, tornandosene in Bologna dove egli abitava. Restò dunque Perino a servire il prencipe e finì questa sala colorita in muro a olio, che fu tenuta et è cosa singularissima nella sua bellezza, essendo (come dissi), in mezzo della volta e dattorno e fin sotto le lunette, lavori di stucchi bellissimi. Nell'altra sala, dove si entra per la porta della loggia a man ritta, fece medesimamente nella volta pitture a fresco, e lavorò di stucco in un ordine quasi simile quando Giove fulmina i giganti, dove sono molti ignudi, maggiori del naturale, molto begli. Similmente in cielo tutti gli dèi i quali, nella tremenda orribilità de' tuoni, fanno atti vivacissimi e molto proprii, secondo le nature loro; oltraché gli stucchi sono lavorati con somma diligenza et il colorito in fresco non può essere più bello, atteso che Perino ne fu maestro perfetto e molto valse in quello. Fecevi quattro camere, nelle quali tutte le volte sono lavorate di stucco in fresco, e scompartitevi dentro le più belle favole d'Ovidio che paiono vere, né si può imaginare la bellezza, la copia et il vario e gran numero che sono per quelle di figurine, fogliami, animali e grottesche, fatte con grande invenzione. Similmente da l'altra banda dell'altra sala fece altre quattro camere, guidate da lui e fatte condurre da' suoi garzoni, dando loro però i disegni così degli stucchi, come delle storie, figure e grottesche, che infinito numero, chi poco e chi assai, vi lavorarono, come Luzio Romano, che vi fece molte opere di grottesche e di stucchi, e molti lombardi. Basta che non vi è stanza che non abbia fatto qualche cosa e non sia piena di fregiature, per fino sotto le volte, di vari componimenti pieni di puttini, maschere bizzarre et animali che è uno stupore; oltreché gli studioli, le anticamere, i destri, ogni cosa è dipinto e fatto bello. Entrasi dal palazzo al giardino in una muraglia terragnola che in tutte le stanze e fin sotto le volte ha fregiature molto ornate, e così le sale e le camere e le anticamere, fatte dalla medesima mano. Et in quest'opera lavorò ancora il Pordenone come dissi nella sua vita; e così Domenico Beccafumi sanese rarissimo pittore, che mostrò non essere inferiore a nessuno degl'altri, quantunque l'opere che sono in Siena di sua mano siano le più eccellenti che egli abbia fatto in fra tante sue.
Ma per tornare all'opere che fece Perino doppo quelle che egli lavorò nel palazzo del prencipe, egli fece un fregio in una stanza di casa Giannettin Doria, dentrovi femmine bellissime, e per la città fece molti lavori a molti gentiluomini, in fresco e coloriti a olio, come una tavola in San Francesco molto bella, con bellissimo disegno, e similmente in una chiesa dimandata Santa Maria de Consolazione, ad un gentiluomo di casa Baciadonne, nella qual tavola fece una Natività di Cristo, opera lodatissima, ma messa in luogo, oscuro talmente, che per colpa del non aver buon lume, non si può conoscer la sua perfezzione, e tanto più che Perino cercò di dipignerla con una maniera oscura, onde avrebbe bisogno di gran lume. Senza i disegni, che e' fece de la maggior parte della Eneide con le storie di Didone, che se ne fece panni d'arazzi, e similmente i begli ornamenti disegnati da lui nelle poppe delle galee, intagliati e condotti a perfezzione dal Carota e dal Tasso, intagliatori di legname fiorentini, i quali eccellentemente mostrarono quanto e' valessino in quell'arte. Oltre tutte queste cose, dico, fece ancora un numero grandissimo di drapperie per le galee del prencipe et i maggiori stendardi che si potessi fare per ornamento e bellezza di quelle. Laonde fu per le sue buone qualità tanto amato da quel prencipe che, se egli avesse atteso a servirlo, arebbe grandemente conosciuta la virtù sua.
Mentre che egli lavorò in Genova, gli venne fantasia di levar la moglie di Roma, e così comperò in Pisa una casa, piacendoli quella città , e quasi pensava, invecchiando, elegger quella per sua abitazione. Essendo dunque in quel tempo Operaio del Duomo di Pisa Messer Antonio di Urbano, il quale aveva desiderio grandissimo d'abbellir quel tempio, aveva fatto fare un principio d'ornamenti di marmo molto belli per le cappelle della chiesa, levando alcune vecchie e goffe che v'erano e senza proporzione, le quali aveva condotte di sua mano Stagio da Pietra Santa, intagliatore di marmi molto pratico e valente. E così dato principio, l'Operaio pensò di riempier dentro i detti ornamenti di tavole a olio, e fuora seguitare a fresco storie e partimenti di stucchi, e di mano de' migliori e più eccellenti maestri che egli trovasse, senza perdonare a spesa che ci fussi potuta intervenire; per che egli aveva già dato principio alla sagrestia e l'aveva fatta nella nicchia principale dietro a l'altar maggior, dove era finito già l'ornamento di marmo e fatti molti quadri da Giovann'Antonio Sogliani pittore fiorentino, il resto de' quali, insieme con le tavole e cappelle che mancavano, fu poi doppo molti anni fatto finire da Messer Sebastiano della Seta, Operaio di quel Duomo.
Venne in questo tempo in Pisa, tornando da Genova, Perino e visto questo principio per mezzo di Batista del Cervelliera, persona intendente nell'arte e maestro di legname, in prospettive et in rimessi ingegnosissimo, fu condotto all'Operaio; e discorso insieme delle cose dell'Opera del Duomo, fu ricerco che a un primo ornamento dentro alla porta ordinaria che s'entra dovessi farvi una tavola, che già era finito l'ornamento, e sopra quella una storia, quando San Giorgio ammazzando il serpente libera la figliuola di quel re. Così, fatto Perino un disegno bellissimo, che faceva in fresco un ordine di putti e d'altri ornamenti fra l'una cappella e l'altra, e nicchie con Profeti e storie in più maniere, piacque tal cosa all'Operaio, e così, fatto il cartone d'una di quelle, cominciò a colorir quella prima, dirimpetto alla porta detta di sopra, e finì sei putti, i quali sono molto bene condotti. E così doveva seguitare intorno intorno, che certo era ornamento molto ricco e molto bello, e sarebbe riuscita tutta insieme un'opera molto onorata, ma venutagli voglia di ritornare a Genova, dove aveva preso e pratiche amorose et altri suoi piaceri, a' quali egli era inclinato a certi tempi. Nella sua partita diede una tavoletta dipinta a olio, ch'egli aveva fatta loro, alle monache di San Maffeo, che è dentro nel munistero fra loro. Arrivato poi in Genova, dimorò in quella molti mesi facendo per il prencipe altri lavori ancora.
Dispiacque molto all'Operaio di Pisa la partita sua, ma molto più il rimanere quell'opera imperfetta, onde non restava di scrivergli ogni giorno che tornasse, né di domandarne la moglie d'esso Perino, la quale egli aveva lasciata in Pisa; ma veduto finalmente che questa era cosa lunghissima, non rispondendo o tornando, allogò la tavola di quella cappella a Giovann'Antonio Sogliani, che la finì e la mise al suo luogo. Ritornato non molto dopo Perino in Pisa, vedendo l'opera del Sogliano si sdegnò, né volle altrimenti seguitare quello che aveva cominciato, dicendo non volere che le sue pitture servissino per fare ornamento ad altri maestri. Laonde si rimase per lui imperfetta quell'opera, e Giovan Antonio la seguitò tanto che egli vi fece quattro tavole, le quali parendo poi a Sebastiano della Seta, nuovo Operaio, tutte in una medesima maniera e più tosto manco belle della prima, ne allogò a Domenico Beccafumi sanese, dopo la prova di certi quadri che egli fece intorno alla sagrestia che son molto belli, una tavola ch'egli fece in Pisa. La quale non sodisfacendoli come i quadri primi, ne fecero fare due ultime, che vi mancavano, a Giorgio Vasari aretino, le quali furono poste alle due porte accanto alle mura delle cantonate nella facciata dinanzi della chiesa. De le quali insieme con le altre molte opere grandi e piccole, sparse per Italia e fuora in più luoghi, non conviene che io parli altramenti, ma ne lascerò il giudizio libero a chi le ha vedute o vedrà . Dolse veramente quest'opera a Perino, avendo già fatti i disegni, che erano per riuscire cosa degna di lui e da far nominare quel tempio, oltre all'antichit...
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