[Pagina precedente]...re un bellissimo ingegno. Dico adunque che Perino, per le tante cure commesseli, era forzato mettere molte persone in opera, et aveva sete più di guadagno che di gloria, parendoli aver gittato via e non avanzato niente nella sua gioventù. E tanto fastidio gli dava il veder venir giovani su che facessino, che cercava metterli sotto di sé, a ciò non gli avessino a impedire il luogo.
Venendo poi l'anno 1546 Tiziano da Cador pittor viniziano, celebratissimo per far ritratti, a Roma, et avendo prima ritratto papa Paolo quando Sua Santità andò a Bussé e non avendo remunerazione di quello né d'alcuni altri che aveva fatti al cardinale Farnese et a Santa Fiore, da essi fu ricevuto onoratissimamente in Belvedere. Per che levatosi una voce in corte e poi per Roma, qualmente egli era venuto per fare istorie di sua mano nella sala de' re in palazzo, dove Perino doveva farle egli, e vi si lavorava di già i stucchi, dispiacque molto questa venuta a Perino e se ne dolse con molti amici suoi; non perché credesse che nell'istoria Tiziano avesse a passarlo lavorando in fresco, ma perché desiderava trattenersi con quest'opera pacificamente et onoratamente fino alla morte. E se pur ne aveva a fare, farla senza concorrenza, bastandoli purtroppo la volta e la facciata della cappella di Michelagnolo a paragone, quivi vicina. Questa suspizione fu cagione che mentre Tiziano sté in Roma, egli lo sfuggì sempre e sempre stette di mala voglia fino alla partita sua.
Essendo castellano di Castel Sant'Agnolo Tiberio Crispo, che fu poi fatto cardinale, come persona che si dilettava delle nostre arti si messe in animo d'abbellire il castello, et in quello rifece logge, camere e sale et apparamenti bellissimi per poter ricevere meglio Sua Santità quando ella vi andava, e così fatte molte stanze et altri ornamenti, con ordine e disegni di Raffaello da Montelupo e poi in ultimo di Antonio da Sangallo. Fecevi far di stucco Raffaello una loggia, et egli vi fece l'Angelo di marmo, figura di sei braccia, posta in cima al castello su l'ultimo torrione, e così fece dipigner detta loggia a Girolamo Sermoneta, ch'è quella che volta verso i prati, che finita, fu poi il resto delle stanze date parte a Luzio Romano. Et in ultimo le sale et altre camere importanti, fece Perino, parte di sua mano e parte fu fatto da altri con suoi cartoni. La sala è molto vaga e bella, lavorata di stucchi e tutta piena d'istorie romane, fatte da' suoi giovani, et assai di mano di Marco da Siena, discepolo di Domenico Beccafumi, et in certe stanze sono fregiature bellissime.
Usava Perino, quando poteva avere giovani valenti, servirsene volentieri nell'opere sue, non restando per questo egli di lavorare ogni cosa meccanica. Fece molte volte i pennoni delle trombe, le bandiere del castello e quelle dell'armata della Religione. Lavorò drappelloni, sopraveste, portiere et ogni minima cosa dell'arte. Cominciò alcune tele per far panni d'arazzi per il prencipe Doria. E fece per il reverendissimo cardinal Farnese una cappella, e così uno scrittoio all'eccellentissima madama Margherita d'Austria. A Santa Maria del Pianto fece fare un ornamento intorno alla Madonna; e così in piazza Giudea alla Madonna pure un altro ornamento. E molte altre opere, delle quali per esser molte non farò al presente altra memoria, avendo egli massimamente costumato di pigliare a far ogni lavoro che gli veniva per le mani. La qual sua così fatta natura, perché era conosciuta dagl'uffiziali di palazzo, era cagione che egli aveva sempre che fare per alcuni di loro; e lo faceva volentieri, per trattenersegli, onde avessero cagione di servirlo ne' pagamenti delle provisioni et altre sue bisogne.
Avevasi oltre ciò acquistata Perino un'autorità , che a lui si allogavano tutti i lavori di Roma; perciò che, oltre che parea che in un certo modo se gli dovessino, faceva alcuna volta le cose per vilissimo prezzo. Nel che faceva a sé et all'arte poco utile, anzi molto danno. E che ciò sia vero, se egli avesse preso a far sopra di sé la sala de' re in palazzo e lavoratovi insieme con i suoi garzoni, vi arebbe avanzato parecchi centinaia di scudi, che tutti furono de' ministri che avevano cura dell'opera e pagavano le giornate a chi vi lavorava. Laonde, avendo egli preso un carico sì grande e con tante fatiche, et essendo catarroso et infermo, non poté sopportar tanti disagi, avendo il giorno e la notte a disegnare e sodisfare a' bisogni di palazzo e fare, non che altro, i disegni di ricami, d'intagli a banderai et a tutti i capricci di molti ornamenti di Farnese e d'altri cardinali e signori. Et insomma, avendo sempre l'animo occupatissimo, et intorno scultori, maestri di stucchi, intagliatori di legname, sarti, ricamatori, pittori, mettitori d'oro et altri simili artefici, non aveva mai un'ora di riposo. E quanto di bene e contento sentiva in questa vita, era ritrovarsi talvolta con alcuni amici suoi all'osteria, la quale egli continuamente frequentò in tutti i luoghi dove gl'occorse abitare, parendoli che quella fusse la vera beatitudine, la requie del mondo et il riposo de' suoi travagli.
Dalle fatiche adunque dell'arte e da' disordini di Venere e della bocca guastatasi la complessione, gli venne un'asima che, andandolo a poco a poco consumando, finalmente lo fece cadere nel tisico; e così una sera, parlando con un suo amico vicino a casa sua, di mal di gocciola cascò morto d'età d'anni quarantasette. Di che si dolsero infinitamente molti artefici come d'una gran perdita che fece veramente la pittura. E da Messer Iosefo Cincio medico di madama, suo genero, e dalla sua donna gli fu nella Ritonda di Roma e nella cappella di San Giuseppo dato onorata sepoltura, con questo epitaffio:
Perino Bonaccursio Vagae florentino, qui ingenio et arte singulari egregios cum pictores permultos, tum plastas facile omnes superavit, Catherina Perini coniugi, Lavinia Bonaccursia parenti, Iosephus Cincius socero charissimo et optimo fecere. Vixit annos 46, menses 3, dies 21. Mortuus et 14 Calendis Novembris Anno Christi 1547.
Rimase nel luogo di Perino Daniello Volterrano, che molto lavorò seco e finì gl'altri due Profeti, che sono alla cappella del Crucifisso in San Marcello; e nella Trinità ha fatto una cappella bellissima di stucchi e di pittura alla signora Elena Orsina e molte altre opere, delle quali si farà a suo luogo memoria. Perino dunque, come si vede per cose dette e molte che si potrebbono dire, è stato uno de' più universali pittori de' tempi nostri, avendo aiutato gli artefici a fare eccellentemente gli stucchi e lavorato grottesche, paesi, animali e tutte l'altre cose che può sapere un pittore, e colorito in fresco, a olio et a tempera. Onde si può dire che sia stato il padre di queste nobilissime arti, vivendo le virtù di lui in coloro che le vanno imitando in ogni effetto onorato dell'arte. Sono state dopo la morte di Perino stampate molte cose ritratte dai suoi disegni, la fulminazione de' giganti fatta a Genova, otto storie di San Piero, tratte degli atti degli Apostoli, le quali fece in disegno perché ne fusse ricamato per papa Paolo Terzo un piviale; e molte altre cose, che si conoscono alla maniera. Si servì Perino di molti giovani et insegnò le cose dell'arte a molti discepoli; ma il migliore di tutti e quegli di cui egli si servì più che di tutti gli altri, fu Girolamo Siciolante da Sermoneta, del quale si ragionerà a suo luogo. Similmente fu suo discepolo Marcello Mantovano, il quale sotto di lui condusse in Castel Sant'Angelo, all'entrata, col disegno di Perino in una facciata una Nostra Donna con molti Santi a fresco, che fu opera molto bella; ma anco delle opere di costui si farà menzione altrove. Lasciò Perino molti disegni alla sua morte, e di sua mano e d'altri parimente, ma fra gli altri tutta la cappella di Michel Agnolo Buonarroti, disegnata di mano di Lionardo Cungi dal Borgo San Sepolcro, che era cosa eccellente. I quali tutti disegni, con altre cose, furono dagli eredi suoi venduti. E nel nostro libro sono molte carte fatte da lui di penna, che sono molto belle.
IL FINE DELLA VITA DI PERINO DEL VAGA, PITTORE FIORENTINO E DEL PRIMO VOLUME DELLA TERZA PARTE
VITA DI DOMENICO BECCAFUMI PITTORE E MAESTRO DI GETTI SANESE
Quello stesso, che per dono solo della natura si vide in Giotto et in alcun altro di que' pittori, de' quali avemo infin qui ragionato, si vidde ultimamente in Domenico Beccafumi pittore sanese, perciò che guardando egli alcune pecore di suo padre, chiamato Pacio e lavoratore di Lorenzo Beccafumi cittadin sanese, fu veduto esercitarsi da per sé, così fanciullo come era, in disegnando quando sopra le pietre, e quando in altro modo; per che avenne che, vedutolo un giorno il detto Lorenzo disegnare con un bastone apuntato alcune cose sopra la rena d'un piccol fiumicello, là dove guardava le sue bestiole, lo chiese al padre, disegnando servirsene per ragazzo et in un medesimo tempo farlo imparare. Essendo adunque questo putto, che allora era chiamato Mecherino, da Pacio suo padre conceduto a Lorenzo, fu condotto a Siena, dove esso Lorenzo gli fece per un pezzo spendere quel tempo, che gli avanzava da' servigii di casa, in bottega d'un pittore suo vicino di non molto valore. Tuttavia quello che non sapeva egli, faceva imparare a Mecherino da' disegni che aveva appresso di sé, di pittori eccellenti de' quali si serviva ne' suoi bisogni, come usano di fare alcuni maestri, che hanno poco peccato nel disegno. In questa maniera dunque esercitandosi mostrò Mecherino saggio di dovere riuscire ottimo pittore. Intanto capitando in Siena Pietro Perugino, allora famoso pittore, dove fece, come si è detto, due tavole, piacque molto la sua maniera a Domenico, per che messosi a studiarla et a ritrarre quelle tavole, non andò molto che egli prese quella maniera. Doppo, essendosi scoperta in Roma la cappella di Michelagnolo e l'opere di Raffaello da Urbino, Domenico, che non aveva maggior disiderio che d'imparare e conosceva in Siena perder tempo, presa licenza da Lorenzo Beccafumi, dal quale si acquistò la famiglia et il casato de' Beccafumi, se n'andò a Roma, dove acconciatosi con un dipintore che lo teneva in casa alle spese, lavorò insieme con esso lui molte opere, attendendo in quel mentre a studiare le cose di Michelagnolo, di Raffaello e degl'altri eccellenti maestri e le statue e pili antichi d'opera maravigliosa. Laonde non passò molto che egli divenne fiero nel disegnare, copioso nell'invenzioni e molto vago coloritore. Nel quale spazio, che non passò due anni, non fece altra cosa degna di memoria, che una facciata in Borgo con un'arme colorita di papa Giulio Secondo.
In questo tempo, essendo condotto in Siena, come si dirà a suo luogo, da uno degli Spanocchi mercante, Giovan Antonio da Verzelli pittore e giovane assai buon pratico e molto adoperato da' gentiluomini di quella città (che fu sempre amica e fautrice di tutti i virtuosi) e particolarmente in fare ritratti di naturale, intese ciò Domenico, il quale molto desiderava di tornare alla patria. Onde, tornatosene a Siena, veduto che Giovann'Antonio aveva gran fondamento nel disegno, nel quale sapeva che consiste l'eccellenza degl'artefici, si mise con ogni studio, non gli bastando quello che aveva fatto in Roma, a seguitarlo, esercitandosi assai nella notomia e nel fare ignudi. Il che gli giovò tanto, che in poco tempo cominciò a essere in quella città nobilissima molto stimato. Né fu meno amato per la sua bontà e costumi, che per l'arte: perciò che dove Giovan Antonio era bestiale, licenzioso e fantastico, e chiamato, perché sempre praticava e viveva con giovinetti sbarbati, il Soddoma e per tale ben volentieri rispondeva, era dall'altro lato Domenico tutto costumato e da bene e, vivendo cristianamente, e' stava il più del tempo solitario. E perché molte volte sono più stimati dagl'uomini certi che sono chiamati buon compagni e sollazevoli, che i virtuosi e costumati, i più de' giovani sanesi seguitavano il Soddoma celebrandolo per uomo singulare. Il qual Soddoma, perché come capriccioso aveva sempr...
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