[Pagina precedente]...o il vivo, che getta acqua in un pilo grandissimo della medesima pietra; il qual fiume, che è fatto di pezzi, è commesso con tanta arte e diligenza, che pare tutto d'un pezzo. Mettendo poi mano il Tribolo per ordine di sua eccellenza voler finire le scale della libreria di San Lorenzo, cioè quelle che sono nel ricetto dinanzi alla porta, messi che n'ebbe quattro scaglioni, non ritrovando né il modo, né le misure di Michelagnolo, con ordine del Duca andò a Roma, non solo per intendere il parere di Michelagnolo intorno alle dette scale, ma per far opera di condurre lui a Firenze. Ma non gli riuscì né l'uno, né l'altro, perciò che non volendo Michelagnolo partire di Roma con bel modo si licenziò, e quanto alle scale mostrò non ricordarsi più né di misure né d'altro. Il Tribolo dunque, essendo tornato a Firenze e non potendo seguitare l'opera delle dette scale, si diede a far il pavimento della detta libreria di mattoni bianchi e rossi, sì come alcuni pavimenti che aveva veduti in Roma, ma vi aggiunse un ripieno di terra rossa nella terra bianca, mescolata col bolo per fare diversi intagli in que' mattoni. E così questo pavimento fece ribattere tutto il palco e soffittato di sopra, che fu cosa molto lodata. Cominciò poi e non finì, per mettere nel maschio della fortezza della porta a Faenza, per don Giovanni di Luna, allora castellano, un'arme di pietra bigia et un'aquila di tondo rilievo grande con due capi, quali fece di cera perché fusse gettata di bronzo, ma non se ne fece altro e dell'arme rimase solamente finito lo scudo. E perché era costume della città di Fiorenza fare quasi ogni anno per la festa di San Giovanni Battista, in sulla piazza principale, la sera di notte una girandola, cioè una machina piena di trombe di fuoco e di razzi et altri fuochi lavorati, la quale girandola aveva ora forma di tempio, ora di nave, ora di scogli e talora d'una città o d'uno Inferno, come più piaceva all'inventore, fu dato cura un anno di farne una al Tribolo, il quale la fece, come di sotto si dirà , bellissima. E perché delle varie maniere di tutti questi così fatti fuochi, e particolarmente de' lavorati, tratta Vannoccio Sanese et altri, non mi distenderò in questo, dirò bene alcune cose delle qualità delle girandole. Il tutto adunque si fa di legname, con spazii larghi che spuntino in fuori da piè, acciò che i raggi, quando hanno avuto fuoco, non accendano gl'altri, ma s'alzino mediante le distanze a poco a poco del pari, e secondando l'un l'altro, empiano il cielo del fuoco, che è nelle grillande da sommo e da piè; si vanno, dico, spartendo larghi acciò non abrucino a un tratto, e facciano bella vista. Il medesimo fanno gli scoppi, i quali, stando legati a quelle parti ferme della girandola, fanno bellissime gazzarre. Le trombe similmente vanno accomodando negli ornamenti e si fanno uscire le più volte per bocca di maschere o d'altre cose simili, ma l'importanza sta nell'accomodarla in modo che i lumi, che ardono in certi vasi, durino tutta la notte e faccino la piazza luminosa. Onde tutta l'opera è guidata da un semplice stoppino, che bagnato in polvere piena di solfo et acquavita a poco a poco camina ai luoghi, dove egli ha di mano in mano a dar fuoco, tanto che abbia fatto tutto. E perché si figurano, come ho detto, varie cose, ma che abbino che fare alcuna cosa col fuoco e sieno sottoposte agli incendii et era stata fatta molto inanzi la città di Soddoma e Lotto con le figliuole, che di quella uscivano, et altra volta Gerione con Virgilio e Dante addosso, sì come da esso Dante si dice nell'Inferno, e molto prima Orfeo che traeva seco da esso Inferno Euridice et altre molte invenzioni, ordinò sua eccellenza che non certi fantocciai, che avevano già molt'anni fatto nelle girandole mille gofferie, ma un maestro eccellente facesse alcuna cosa che avesse del buono, perché datane cura al Tribolo, egli con quella virtù et ingegno che aveva l'altre cose fatto, ne fece una in forma di tempio a otto facce bellissimo, alta tutta con gl'ornamenti venti braccia. In qual tempio egli finse che fusse quello della Pace, facendo in cima il simulacro della Pace, che metta fuoco in un gran monte d'arme che aveva a' piedi. Le quali armi, statua della Pace e tutte altre figure, che facevano essere quella machina bellissima, erano di cartoni, terra e panni incollati, acconci con arte grandissima, erano, dico, di cotali materie, acciò l'opera tutta fusse leggera, dovendo essere da un canapo doppio, che traversava la piazza in alto, sostenuta per molto spazio alta da terra. Ben è vero che, essendo stati acconci dentro i fuochi troppo spessi e le guide degli stopini troppo vicine l'una all'altra, che datole fuoco, fu tanta la veemenza dell'incendio e grande e subita vampa, che ella si accese tutta a un tratto et abbruciò in un baleno, dove aveva a durare ad ardere un'ora al meno. E, che fu peggio, attaccatosi fuoco al legname et a quello che dovea conservarsi, si abbruciarono i canapi et ogni altra cosa a un tratto, con danno non piccolo e poco piacere de' popoli. Ma quanto apartiene all'opera, ella fu la più bella che altra girandola la quale insino a quel tempo fusse stata fatta già mai.
Volendo poi il Duca fare, per commodo de' suoi cittadini e mercanti, la loggia di Mercato Nuovo, e non volendo più di quello che potesse aggravare il Tribolo, il quale come capo maestro de' capitani di parte e commessarii de' fiumi e sopra le fogne della città , cavalcava per lo dominio per ridurre molti fiumi, che scorrevano con danno, ai loro letti, riturare ponti et altre cose simili, diede il carico di quest'opera al Tasso, per consiglio del già detto Messer Pierfrancesco maiordomo, per farlo di falegname architettore, il che invero fu contra la volontà del Tribolo, ancor che egli nol mostrasse e facesse molto l'amico con esso lui. E che ciò sia vero, conobbe il Tribolo nel modello del Tasso molti errori, de' quali, come si crede, nol volle altrimenti avvertire, come fu quello de' capitelli delle colonne che sono a canto ai pilastri, i quali non essendo tanto lontana la colonna che bastasse, quando tirato su ogni cosa si ebbero a mettere a' luoghi loro, non vi entrava la corona di sopra della cima di essi capitelli; onde bisognò tagliarne tanto che si guastò quell'ordine, senza molti altri errori, de' quali non accade ragionare. Per lo detto Messer Pierfrancesco fece il detto Tasso la porta della chiesa di Santo Romolo et una finestra inginocchiata in sulla piazza del Duca, d'un ordine a suo modo, mettendo i capitegli per base e facendo tante altre cose senza misura o ordine, che si potea dire che l'ordine tedesco avesse cominciato a riavere la vita in Toscana per mano di quest'uomo. Per non dir nulla delle cose che fece in palazzo di scale e di stanze, le quali ha avuto il Duca a far guastare perché non avevano né ordine, né misura, né proporzione alcuna, anzi tutte storpiate, fuor di squadra e senza grazia o commodo niuno. Le quali tutte cose non passarono senza carico del Tribolo, il quale intendendo, come faceva, assai, non parea che dovesse comportare che il suo principe gettasse via i danari et a lui facesse quella vergogna in su gl'occhi, e, che è peggio, non dovea comportare cotali cose al Tasso che gl'era amico. E ben conobbono gl'uomini di giudizio la prosonzione e pazzia dell'uno in volere fare quell'arte che sapeva et il simular dell'altro, che affermava quello piacergli che certo sapeva che stava male. E di ciò facciano fede l'opere che Giorgio Vasari ha avuto a guastare in palazzo, con danno del Duca e molta vergogna loro.
Ma gli avvenne al Tribolo quello che al Tasso, perciò che sì come il Tasso lasciò lo intagliare di legname, nel quale esercizio non aveva pari, e non fu mai buono architettore per aver lasciato un'arte nella quale molto valeva, e datosi a un'altra della quale non sapea straccio, e gli apportò poco onore, così il Tribolo lasciando la scultura, nella quale si può dire con verità che fusse molto eccellente e facea stupire ognuno e datosi a volere dirizzare fiumi, l'una non seguitò con suo onore e l'altra gl'apportò anzi danno e biasimo che onore et utile, perciò che non gli riuscì rassettare i fiumi e si fece molti nimici, e particolarmente in quel di Prato per conto di Bisenzio, et in Valdinievole in molti luoghi.
Avendo poi compero il duca Cosimo il palazzo de' Pitti, del quale si è in altro luogo ragionato, e desiderando sua eccellenza di adornarlo di giardini, boschi e fontane e vivai et altre cose simili, fece il Tribolo tutto lo spartimento del monte in quel modo che egli sta, accomodando tutte le cose con bel giudizio ai luoghi loro, se ben poi alcune cose sono state mutate in molte parti del giardino. Del qual palazzo de' Pitti, che è il più bello d'Europa, si parlerà altra volta con migliore occasione. Dopo queste cose fu mandato il Tribolo da sua eccellenza nell'isola dell'Elba, non solo perché vedesse la città e porto che vi aveva fatta fare, ma ancora perché desse ordine di condurre un pezzo di granito tondo di dodici braccia per diametro, del quale si aveva a fare una tazza per lo prato grande de' Pitti, la quale ricevesse l'acqua della fonte principale. Andato dunque colà il Tribolo e fatta fare una scafa a posta per condurre questa tazza et ordinato agli scarpellini il modo di condurla, se ne tornò a Fiorenza, dove non fu sì tosto arivato, che trovò ogni cosa piena di romori e maladizioni contra di sé, avendo di que' giorni le piene et inondazioni fatto grandissimi danni intorno a que' fiumi che egli aveva rassettati, ancor che forse non per suo difetto in tutto fusse ciò avenuto. Comunche fusse, o la malignità d'alcuni ministri e forse l'invidia, o che pure fusse così il vero, fu di tutti que' danni data la colpa al Tribolo, il quale non essendo di molto animo et anzi scarso di partiti che no, dubitando che la malignità di qualcuno non gli facesse perdere la grazia del Duca, si stava di malissima voglia, quando gli sopragiunse, essendo di debole complessione, una grandissima febre a dì 20 d'agosto, l'anno 1550, nel qual tempo, essendo Giorgio in Firenze per far condurre a Roma i marmi delle sepolture che papa Giulio Terzo fece fare in San Piero a Montorio, come quelli che veramente amava la virtù del Tribolo lo visitò e confortò, pregandolo che non pensasse se non alla sanità e che guarito si ritraesse a finire l'opera di Castello, lasciando andare i fiumi, che più tosto potevano affogargli la fama che fargli utile o onore nessuno. La qual cosa come promise di voler fare, arebbe, mi credo io, fatta per ogni modo se non fusse stato impedito dalla morte, che gli chiuse gl'occhi a dì 7 settembre del medesimo anno. E così l'opere di Castello, state da lui cominciate e messe inanzi, rimasero imperfette perciò che, se bene si è lavorato dopo lui ora una cosa et ora un'altra, non però vi si è mai atteso con quella diligenza e prestezza che si faceva vivendo il Tribolo e quando il signor Duca era caldissimo in quell'opera. E di vero chi non tira inanzi le grandi opere, mentre coloro che fanno farle spendono volentieri e non hanno maggior cura, è cagione che si devia e si lascia imperfetta l'opera che arebbe potuto la sollecitudine e studio condurre a perfezzione. E così per negligenza degl'operatori, rimane il mondo senza quello ornamento et eglino senza quella memoria et onore, perciò che rade volte adiviene, come a quest'opera di Castello, che mancando il primo maestro, quegli che in suo luogo succede voglia finirla secondo il disegno e modello del primo, con quella modestia che Giorgio Vasari, di commessione del Duca, ha fatto, secondo l'ordine del Tribolo, finire il vivaio maggiore di Castello e l'altre cose secondo che di mano in mano vorrà che si faccia sua eccellenza.
Visse il Tribolo anni 65. Fu sotterrato dalla Compagnia dello Scalzo nella lor sepoltura e lasciò dopo sé Raffaello suo figliuolo, che non ha atteso all'arte e due figliuole femine, una delle quali è moglie di Davitte, che l'aiutò a murare tutte le cose di Castello, et il quale come persona di giudizio ...
[Pagina successiva]