[Pagina precedente]...oglio che noi facciamo come se fusse marmo." E posata prestamente la cappa, messe nella neve le mani e da altri fanciulli aiutato, scemando la neve dove era troppa et altrove aggiugnendo, fece una bozza d'un Marforio di braccia otto a giacere, di che il pittore et ognuno restorono maravigliati, non tanto di ciò che egli avesse fatto, quanto dell'animo che egli ebbe di mettersi a sì gran lavoro così piccolo e fanciullo. Et invero Baccio avendo più amore alla scultura che alle cose dell'orefice, ne mostrò molti disegni, et andato a Pinzirimonte, villa comperata da suo padre, si faceva stare spesso innanzi i lavoratori ignudi e gli ritraeva con grande affetto, il medesimo facendo degli altri bestiami del podere. In questo tempo continovò molti giorni d'andare la mattina a Prato vicino alla sua villa, dove stava tutto il giorno a disegnare nella cappella della pieve, opere di fra' Filippo Lippi, e non restò fino a tanto che e' l'ebbe disegnata tutta ne' panni immitando quel maestro in ciò raro; e già maneggiava destramente lo stile e la penna e la matita rossa e nera, la quale è una pietra dolce che viene de' monti di Francia, e segatele le punte conduce i disegni con molta finezza. Per queste cose, vedendo Michelagnolo l'animo e la voglia del figliuolo, mutò ancora egli con lui pensiero, et insieme consigliato dagli amici lo pose sotto la custodia di Giovanfrancesco Rustici, scultore de' migliori della città dove ancora di continovo praticava Lionardo da Vinci. Costui, veduti i disegni di Baccio e piaciutigli, lo confortò a seguitare et a prendere a lavorare di rilievo e gli lodò grandemente l'opere di Donato, dicendogli che egli facesse qualche cosa di marmo, come o teste o di basso rilievo. Inanimito Baccio da' conforti di Lionardo, si messe a contraffar di marmo una testa antica d'una femmina, la quale aveva formata in un modello da una che è in casa Medici, e per la prima opera, la fece assai lodevolmente e fu tenuta cara da Andrea Carnesecchi, al quale il padre di Baccio la donò et egli la pose in casa sua nella via Larga, sopra la porta nel mezzo del cortile che va nel giardino. Ma Baccio seguitando di fare altri modegli di figure tonde di terra, il padre volendo non mancare allo studio onesto del figliuolo, fatti venire da Carrara alcuni pezzi di marmo, gli fece murare in Pinti nel fine della sua casa, una stanza con lumi accomodati da lavorare, la quale rispondeva in via Fiesolana, et egli si diede ad abbozzare in que' marmi figure diverse, e ne tirò innanzi una fra l'altre in un marmo di braccia dua e mezzo, che fu un Ercole che si tiene sotto fra le gambe un Cacco morto; queste bozze restorono nel medesimo luogo per memoria di lui.
In questo tempo essendosi scoperto il cartone di Michelagnolo Buonarroti, pieno di figure ignude, il quale Michelagnolo aveva fatto a Piero Soderini per la sala del Consiglio grande, concorsono, come s'è detto altrove, tutti gli artefici a disegnarlo per la sua eccellenza. Tra questi venne ancora Baccio e non andò molto che egli trapassò a tutti innanzi, perciò che egli dintornava, et ombrava, e finiva, e gl'ignudi intendeva meglio che alcuno degli altri disegnatori: tra' quali era Iacopo Sansovino, Andrea del Sarto, il Rosso ancor che giovane et Alfonso Barughetta spagnolo, insieme con molti altri lodati artefici. Frequentando più che tutti gli altri il luogo Baccio et avendone la chiave contraffatta, accadde in questo tempo che Piero Soderini fu deposto dal governo l'anno 1512 e rimessa in stato la casa de' Medici. Nel tumulto addunque del palazzo per la rinnovazione dello stato, Baccio da sé solo segretamente stracciò il cartone in molti pezzi; di che non si sapendo la causa, alcuni dicevano che Baccio l'aveva stracciato per avere appresso di sé qualche pezzo del cartone a suo modo: alcuni giudicarono che egli volesse tòrre a' giovani quella commodità perché non avessino a profittare e farsi noti nell'arte; alcuni dicevano che a far questo lo mosse l'affezzione di Lionardo da Vinci, al quale il cartone del Buonarroto aveva tolto molta riputazione; alcuni, forse meglio interpretando, ne davano la causa all'odio che egli portava a Michelagnolo, sì come poi fece vedere in tutta la vita sua. Fu la perdita del cartone alla città non piccola et il carico di Baccio grandissimo, il quale meritamente gli fu dato da ciascuno e d'invidioso e di maligno. Fece poi alcuni pezzi di cartoni di biacca e carbone, tra' quali uno ne condusse molto bello d'una Cleopatra ignuda, e lo donò al Piloto orefice.
Avendo di già Baccio acquistato nome di gran disegnatore, era desideroso d'imparare a dipignere co' colori, avendo ferma opinione non pur di paragonare il Buonarroto, ma superarlo di molto in amendue le professioni. E perché egli aveva fatto un cartone d'una Leda, nel quale usciva dell'uovo del cigno abbracciato da lei Castore e Polluce, e voleva colorirlo a olio, per mostrare che 'l maneggiar de' colori e mesticargli insieme per farne la varietà delle tinte co' lumi e con l'ombre non gli fusse stato insegnato da altri, ma che da sé l'avesse trovato, andò pensando come potesse fare, e trovò questo modo: ricercò Andrea del Sarto suo amicissimo che gli facesse in un quadro di pittura a olio il suo ritratto, avvisando di dovere di ciò conseguire duoi acconci al suo proposito: l'uno era il vedere il modo di mescolare i colori, l'altro il quadro e la pittura, la quale gli resterebbe in mano et avendola veduta lavorare gli potrebbe intendendola giovare e servire per essempio. Ma Andrea accortosi, nel domandare che faceva Baccio, della sua intenzione e sdegnandosi di cotal diffidanza et astuzia perché era pronto a mostrargli il suo desiderio, se come amico ne l'avesse ricerco, perciò senza far sembiante d'averlo scoperto, lasciando stare il far mestiche e tinte, messe d'ogni sorte colore sopra la tavolella et azzuffandoli insieme col pennello, ora da questo et ora da quello togliendo con molta prestezza di mano, così contrafaceva il vivo colore della carne di Baccio, il quale sì per l'arte che Andrea usò e perché gli conveniva sedere e star fermo, se voleva esser dipinto, non potette mai vedere né apprendere cosa che egli volesse. E venne ben fatto ad Andrea di castigare insieme la diffidenza dell'amico e dimostrare, con quel modo di dipignere da maestro pratico, assai maggiore virtù et esperienza dell'arte. Né per tutto questo si tolse Baccio dall'impresa nella quale fu aiutato dal Rosso pittore, il quale più liberamente poi domandò di ciò ch'egli disiderava. Addunque apparato il modo del colorire, fece in un quadro a olio i Santi Padri cavati del Limbo dal Salvatore, et in un altro quadro maggiore Noè, quando inebbriato dal vino scuopre in presenza de' figliuoli le vergogne. Provossi a dipignere in muro nella calcina fresca e dipinse nelle facce di casa sua teste, braccia, gambe e torsi in diverse maniere coloriti, ma vedendo che ciò gli arrecava più difficultà che non s'era permesso nel seccare della calcina, ritornò allo studio di prima a far di rilievo. Fece di marmo una figura alta tre braccia d'un Mercurio giovane con un flauto in mano, nella quale molto studio messe e fu lodata e tenuta cosa rara, la quale fu poi l'anno 1530 comperata da Giovanbatista Della Palla e mandata in Francia al re Francesco, il quale ne fece grande stima.
Dettesi con grande e sollecito studio a vedere et a fare minutamente anatomie, e così perseverò molti mesi et anni, e certamente in questo uomo si può grandemente lodare il desiderio d'onore e dell'eccellenza dell'arte e di bene operare in quella; dal quale desiderio spronato e da un'ardentissima voglia, la quale più tosto che attitudine e destrezza nell'arte aveva ricevuto dalla natura insino da' suoi primi anni, Baccio a niuna fatica perdonava, niuno spazio di tempo intrametteva, sempre era intento o all'apparar di fare o al fare, sempre occupato, non mai ozioso si trovava, pensando col continovo operare di trapassar qualunque altro avesse nell'arte sua già mai adoperato, e questo fine premettendosi a se medesimo di sì sollecito studio e di sì lunga fatica. Continovando addunque l'amore e lo studio, non solamente mandò fuora gran numero di carte disegnate in varii modi di sua mano, ma per tentare se ciò gli riusciva s'adoperò ancora che Agostino Viniziano, intagliatore di stampe, gl'intagliasse una Cleopatra ignuda et un'altra carta maggiore piena d'anatomie diverse, la quale gli acquistò molta lode. Messesi di poi a far di rilievo tutto tondo di cera una figura d'un braccio e mezzo di S. Girolamo in penitenza secchissimo, il quale mostrava in su l'ossa i muscoli astenuati e gran parte de' nervi e la pelle grinza e secca, e fu con tanta diligenza fatta da lui questa opera, che tutti gli artefici feciono giudicio e Lionardo da Vinci particularmente, che e' non si vedde mai in questo genere cosa migliore né con più arte condotta. Questa opera portò Baccio a Giovanni cardinale de' Medici et al Magnifico Giuliano suo fratello, e per mezzo di lei si fece loro conoscere per figliuolo di Michelagnolo orafo e quegli oltre alle lodi dell'opera gli feciono molti altri favori, e ciò fu l'anno 1512, quando erano ritornati in casa e nello stato.
Nel medesimo tempo si lavoravano nell'Opera di Santa Maria del Fiore alcuni Apostoli di marmo per mettergli ne' tabernacoli di marmo in quelli stessi luoghi dove sono in detta chiesa dipinti da Lorenzo di Bicci pittore. Per mezzo del Magnifico Giuliano fu allogato a Baccio San Piero alto braccia quattro e mezzo, il quale dopo molto tempo condusse a fine e benché non con tutta la perfezzione della scultura, nondimeno si vede in lui buon disegno. Questo Apostolo stette nell'Opera dall'anno 1513 insino al 1565, nel quale anno il duca Cosimo, per le nozze della reina Giovanna d'Austria sua nuora, volle che S. Maria del Fiore fusse imbiancata di dentro, la quale dalla sua edificazione non era stata di poi tocca, e che si ponessino quattro Apostoli ne' luoghi loro, tra' quali fu il sopra detto S. Piero. Ma l'anno 1515 nell'andare a Bologna passando per Firenze papa Leone X, la città per onorarlo, tra gli altri molti ornamenti et apparati, fece fare sotto un arco della loggia di piazza vicino al palazzo un colosso di braccia nove e mezzo e lo dette a Baccio. Era il colosso un Ercole il quale per le parole anticipate di Baccio s'aspettava che superassi il Davitte del Buonarroto quivi vicino, ma non corrispondendo al dire il fare, né l'opera al vanto, scemò assai Baccio nel concetto degli artefici e di tutta la città , il quale prima s'aveva di lui. Avendo allora papa Leone l'opera dell'ornamento di marmo che fascia la camera di Nostra Donna a Loreto e parimente statue e storie a maestro Andrea Contucci dal Monte Sansovino, il quale avendo già condotte molto lodatamente alcune opere et essendo intorno all'altre, Baccio in questo tempo portò a Roma al Papa un modello bellissimo d'un Davitte ignudo, che tenendosi sotto Golia gigante gli tagliava la testa, con animo di farlo di bronzo o di marmo per lo cortile di casa Medici in Firenze, in quel luogo appunto dove era prima il Davitte di Donato, che poi fu portato nello spogliare il palazzo de' Medici nel palazzo allora de' signori. Il Papa, lodato Baccio, non parendogli tempo di fare allora il Davitte, lo mandò a Loreto da maestro Andrea, che gli desse a fare una di quelle istorie. Arrivato a Loreto, fu veduto volentieri da maestro Andrea e carezzato, sì per la fama sua e per averlo il Papa raccomandato, e gli fu consegnato un marmo perché ne cavasse la Natività di Nostra Donna. Baccio fatto il modello dette principio all'opera, ma come persona che non sapeva comportare compagnia e parità e poco lodava le cose d'altri, cominciò a biasimare con gli altri scultori che v'erano l'opere di maestro Andrea e dire che non aveva disegno et il simigliante diceva degli altri, intanto che in breve tempo si fece mal volere a tutti. Per la qual cosa venuto agli orecchi di maestro Andrea tutto quel che detto aveva Baccio di lui, egli come savio lo riprese amorevolmente d...
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