[Pagina precedente]...o che l'altre pitture, pitture nominare si possono, ma quelle di Raffaello cose vive: perché trema la carne, vedesi lo spirito, battono i sensi alle figure sue e vivacità viva vi si scorge; per il che questo li diede, oltra le lodi, che aveva più nome assai. Laonde furono però fatti a suo onore molti versi e latini e vulgari, de' quali metterò questi soli per non far più lunga storia di quel che io mi abbi fatto.
Pingant sola alii, referantque coloribus ora;
Ceciliae os Raphael atque animum explicuit.
Fece ancora doppo questo un quadretto di figure piccole, oggi in Bologna medesimamente in casa il conte Vincenzio Arcolano, dentrovi un Cristo a uso di Giove in cielo e d'attorno i quattro Evangelisti, come gli descrive Ezechiel; uno a guisa di uomo e l'altro di leone e quello d'aquila e di bue, con un paesino sotto figurato per la terra, non meno raro e bello nella sua piccolezza che sieno l'altre cose sue nelle grandezze loro. A Verona mandò della medesima bontà un gran quadro ai conti da Canossa, nel quale è una Natività di Nostro Signore bellissima con una aurora molto lodata, sì come è ancora Santa Anna; anzi tutta l'opera, la quale non si può meglio lodare che dicendo che è di mano di Raffaello da Urbino. Onde que' conti meritamente l'hanno in somma venerazione; né l'hanno mai, per grandissimo prezzo che sia stato loro offerto da molti prìncipi, a niuno voluto concederla. Et a Bindo Altoviti fece il ritratto suo quando era giovane che è tenuto stupendissimo. E similmente un quadro di Nostra Donna che egli mandò a Fiorenza, il qual quadro è oggi nel palazzo del duca Cosimo nella cappella delle stanze nuove e da me fatte e dipinte, e serve per tavola dell'altare, et in esso è dipinta una Santa Anna vecchissima a sedere, la quale porge alla Nostra Donna il suo Figliuolo di tanta bellezza ne l'ignudo e nelle fatezze del volto che nel suo ridere rallegra chiunque lo guarda; senzaché Raffaello mostrò nel dipignere la Nostra Donna tutto quello che di bellezza si può fare nell'aria di una Vergine, dove sia accompagnata negli occhi modestia, nella fronte onore, nel naso grazia e nella bocca virtù, senzaché l'abito suo è tale che mostra una semplicità et onestà infinita. E nel vero io non penso che per tanta cosa si possa veder meglio; èvvi un San Giovanni a sedere ignudo et un'altra Santa ch'è bellissima anch'ella. Così per campo vi è un casamento, dove egli ha finto una finestra impannata che fa lume alla stanza dove le figure son dentro.
Fece in Roma un quadro di buona grandezza, nel quale ritrasse papa Leone, il cardinale Giulio de' Medici e il cardinale de' Rossi, nel quale si veggono non finte, ma di rilievo tonde le figure; quivi è il veluto che ha il pelo, il damasco a dosso a quel Papa, che suona e lustra; le pelli della fodera morbide e vive, e gli ori e le sete contrafatti sì che non colori, ma oro e seta paiono. Vi è un libro di carta pecora miniato che più vivo si mostra che la vivacità , et un campanello d'argento lavorato, che non si può dire quanto è bello. Ma fra l'altre cose vi è una palla della seggiola brunita e d'oro nella quale, a guisa di specchio, si ribattono (tanta è la sua chiarezza) i lumi de le finestre, le spalle del Papa et il rigirare delle stanze; e sono tutte queste cose condotte con tanta diligenza che credasi pure, e sicuramente, che maestro nessuno di questo meglio non faceria né abbia a fare. La quale opera fu cagione che il Papa di premio grande lo rimunerò, e questo quadro si trova ancora in Fiorenza nella guardaroba del Duca. Fece similmente il Duca Lorenzo e 'l Duca Giuliano con perfezzione non più da altri che da esso dipinta nella grazia del colorito, i quali sono appresso agli eredi di Ottaviano de' Medici in Fiorenza. Laonde di grandezza fu la gloria di Raffaello accresciuta e de' premii parimente, perché per lasciare memoria di sé fece murare un palazzo a Roma in Borgo Nuovo, il quale Bramante fece condurre di getto; per queste e molte altre opere, essendo passata la fama di questo nobilissimo artefice insino in Francia et in Fiandra, Alberto Durero tedesco, pittore mirabilissimo et intagliatore di rame di belissime stampe, divenne tributario delle sue opere a Raffaello e gli mandò la testa d'un suo ritratto condotta da lui a guazzo su una tela di bisso, che da ogni banda mostrava parimente e senza biacca i lumi trasparenti, se non che con acquerelli di colori era tinta e macchiata, e de' lumi del panno aveva campato i chiari, la quale cosa parve maravigliosa a Raffaello, perché egli gli mandò molte carte disegnate di man sua, le quali furono carissime ad Alberto. Era questa testa fra le cose di Giulio Romano, ereditario di Raffaello in Mantova. Avendo dunque veduto Raffaello lo andare nelle stampe d'Alberto Durero, volonteroso ancor egli di mostrare quel che in tale arte poteva, fece studiare Marco Antonio Bolognese in questa pratica infinitamente, il quale riuscì tanto eccellente che gli fece stampare le prime cose sue: la carta degli Innocenti, un Cenacolo, il Nettuno e la Santa Cecilia quando bolle nell'olio.
Fece poi Marco Antonio per Raffaello un numero di stampe, le quali Raffaello donò poi al Baviera suo garzone ch'aveva cura d'una sua donna, la quale Raffaello amò sino alla morte e di quella fece un ritratto bellissimo che pareva viva viva, il quale è oggi in Fiorenza appresso il gentilissimo Matteo Botti, mercante fiorentino, amico e familiare d'ogni persona virtuosa e massimamente dei pittori, tenuta da lui come reliquia per l'amore che egli porta all'arte e particularmente a Raffaello. Né meno di lui stima l'opere dell'arte nostra e gli artefici il fratello suo Simon Botti, che oltra lo esser tenuto da tutti noi per uno de' più amorevoli che faccino beneficio agli uomini di queste professioni è da me particulare tenuto e stimato per il migliore e maggiore amico che si possa per lunga esperienza aver caro; oltra al giudicio buono che egli ha e mostra nelle cose dell'arte. Ma, per tornare alle stampe, il favorire Raffaello il Baviera fu cagione che si destasse poi Marco da Ravenna et altri infiniti, per sì fatto modo che le stampe in rame fecero, de la carestia loro, quella copia che al presente veggiamo. Per che Ugo da Carpi con belle invenzioni, avendo il cervello volto a cose ingegnose e fantastiche, trovò le stampe di legno, che con tre stampe possono il mezzo, il lume e l'ombra contrafare, le carte di chiaro oscuro, la quale certo fu cosa di bella e capricciosa invenzione e di questa ancora è poi venuta abbondanza, come si dirà nella vita di Marcantonio Bolognese più minutamente.
Fece poi Raffaello per il monasterio di Palermo detto Santa Maria dello Spasmo, de' frati di Monte Oliveto, una tavola d'un Cristo che porta la croce, la quale è tenuta cosa maravigliosa; conoscendosi in quella la impietà de' crocifissori che lo conducono alla morte al monte Calvario con grandissima rabbia, dove il Cristo, appassionatissimo nel tormento dello avvicinarsi alla morte, cascato in terra per il peso del legno della croce e bagnato di sudore e di sangue, si volta verso le Marie, che piangono dirotissimamente. Oltre ciò si vede fra loro Veronica che stende le braccia porgendoli un panno, con uno affetto di carità grandissima; senzaché l'opera è piena di armati a cavallo et a piede, i quali sboccano fuora della porta di Gerusalemme con gli stendardi della giustizia in mano, in attitudini varie e bellissime. Questa tavola, finita del tutto, ma non condotta ancora al suo luogo, fu vicinissima a capitar male, perciò che, secondo che e' dicono, essendo ella messa in mare per essere portata in Palermo, una orribile tempesta percosse ad uno scoglio la nave che la portava, di maniera che tutta si aperse e si perderono gli uomini e le mercanzie, eccetto questa tavola solamente che, così incassata come era, fu portata dal mare in quel di Genova; dove ripescata e tirata in terra, fu veduta essere cosa divina e per questo messa in custodia; essendosi mantenuta illesa e senza macchia o difetto alcuno, perciò che sino alla furia de' venti e l'onde del mare ebbono rispetto alla bellezza di tale opera, della quale, divulgandosi poi la fama, procacciarono i monaci di riaverla, et appena che con favori del Papa ella fu renduta loro, che satisfecero, e bene, coloro che l'avevano salvata. Rimbarcatala dunque di nuovo e condottola pure in Sicilia, la posero in Palermo, nel qual luogo ha più fama e riputazione che 'l monte di Vulcano.
Mentre che Raffaello lavorava queste opere, le quali non poteva mancare di fare, avendo a servire per persone grandi e segnalate, oltra che ancora per qualche interesse particulare non poteva disdire, non restava però con tutto questo di seguitare l'ordine che egli aveva cominciato de le camere del papa e de le sale, nelle quali del continuo teneva delle genti che con i disegni suoi medesimi gli tiravano innanzi l'opera et egli, continuamente rivedendo ogni cosa, suppliva con tutti quelli aiuti migliori che egli più poteva ad un peso così fatto. Non passò dunque molto che egli scoperse la camera di torre Borgia, nella quale aveva fatto in ogni faccia una storia, due sopra le finestre e due altre in quelle libere. Era in uno lo incendio di Borgo Vecchio di Roma che, non possendosi spegnere il fuoco, San Leone IIII si fa alla loggia di palazzo e con la benedizzione lo estingue interamente. Nella quale storia si veggiono diversi pericoli figurati, da una parte vi sono femmine che dalla tempesta del vento, mentre elle portano acqua per ispegnere il fuoco con certi vasi in mano et in capo, sono aggirati loro i capegli et i panni con una furia terribilissima; altri che si studiano buttare acqua, accecati dal fummo, non cognoscono se stessi. Dall'altra parte v'è figurato, nel medesimo modo che Vergilio descrive che Anchise fu portato da Enea, un vecchio ammalato, fuor di sé per l'infermità e per le fiamme del fuoco; dove si vede nella figura del giovane, l'animo e la forza et il patire di tutte le membra dal peso del vecchio abbandonato a dosso a quel giovane; seguitalo una vecchia scalza e sfibbiata che viene fuggendo il fuoco et un fanciulletto 'gnudo, loro innanzi. Così dal sommo d'una rovina si vede una donna ignuda tutta rabbuffata la quale avendo il figliuolo in mano, lo getta ad un suo, che è campato dalle fiame e sta nella strada in punta di piede a braccia tese per ricevere il fanciullo in fasce; dove non meno si conosce in lei l'affetto del cercare di campare il figliuolo che il patire di sé nel pericolo dello ardentissimo fuoco che la avvampa; né meno passione si scorge in colui che lo piglia, per cagione d'esso putto che per cagion del proprio timor della morte; né si può esprimere quello che si imaginò questo ingegnosissimo e mirabile artefice in una madre che, messosi i figlioli innanzi, scalza, sfibbiata, scinta e rabbuffato il capo, con parte delle veste in mano, gli batte perché e' fugghino dalla rovina e da quello incendio del fuoco. Oltre che vi sono ancor alcune femmine che, inginocchiate dinanzi al Papa, pare che prieghino Sua Santità che faccia che tale incendio finisca.
L'altra storia è del medesimo S. Leon IIII dove ha finito il porto di Ostia occupato da una armata di Turchi, che era venuta per farlo prigione. Veggonvisi i Cristiani combattere in mare l'armata e già al porto esser venuti prigioni infiniti che d'una barca escano tirati da certi soldati per la barba con bellissime cere e bravissime attitudini e con una differenza di abiti da galeotti sono menati innanzi a S. Leone che è figurato e ritratto per papa Leone X. Dove fece Sua Santità in pontificale, in mezzo del cardinale Santa Maria in Portico, cioè Bernardo Divizio da Bibbiena, e Giulio de' Medici cardinale che fu poi Papa Clemente. Né si può contare minutissimamente le belle avvertenze che usò questo ingegnosissimo artefice nelle arie de' prigioni, che senza lingua si conosce il dolore, la paura e la morte. Sono nelle altre due storie quando papa Leone X sagra il re cristianissimo Francesco I di Francia, cantando la messa in pontificale e b...
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